C’ENTRO a Santarcangelo

Da secoli l’uomo, con occhi affascinati, guarda in su cercando risposte alle grandi domande nell’interpretazione del cielo e le stelle. È ammirando una realtà così distante dalle piccole vicende umane che Einstein intuisce la teoria della relatività: due stelle, due puntini lassù, per incontrarsi devono trovarsi nello stesso istante, nello stesso posto.
Non è forse questa un’evidenza che sperimentiamo ogni giorno? Per essere certa di partecipare ad un’importante riunione alle 8.00 a Milano, chiederò informazioni sulla posizione esatta e, per sicurezza, imposterò un promemoria qualche ora prima. Sarebbe un bel guaio se impostassi male l’indirizzo sul navigatore o se arrivassi in ritardo!
Anche gli incontri con Dio hanno uno spazio e un tempo dedicati, che, nel loro essere così profondamente umani, vengono consacrati dall’accoglienza della sua presenza. È su questo tema che si innestano le tre tappe di un cammino, tutto al femminile, che si svolge tra Santarcangelo, Cesena e La Verna, ospiti delle Suore della Sacra Famiglia (spazio per l’appunto) durante tre weekend tra gennaio e aprile (tempo).
Il primo appuntamento ha preso avvio da una riflessione sul nostro modo di relazionarci con lo spazio esterno. Possiamo sostare in un dato luogo o attraversarlo, abitarlo, evitarlo, rifugiarci, esserci trattenuti, stare in pace o trovarci scomodi. Sia che percepiamo lo spazio come cornice del nostro agire, sia che gli riconosciamo un ruolo di protagonista, certo è che ci condiziona e ci identifica come uomini.

Lo stesso Gesù si fa chiamare il Nazareno ad indicare che ha messo davvero radici sulla terra, che, nel suo essere “di ciccia”, ha affidato ad un preciso luogo il tempo della sua crescita fisica e spirituale. L’abbiamo seguito, leggendo il Vangelo di Marco, per le strade della Palestina dove, tra il trambusto della folla, compiva miracoli. E poi ci siamo intrufolate con lui nell’intimo delle case di amici, dove a pochi rivelava il senso di ciò che avevano/avrebbero visto e vissuto fuori. Abbiamo conosciuto un Gesù che sta al nostro fianco e rende la strada condivisa un cammino di vita costellandola di domande “Chi sono io?”, “Perché mi segui?” “Mi ami?” e che non ci abbandona anche nei passaggi più bui, come sulla barca in mezzo al mare “Sono qui, non temere”.
Ci siamo infine soffermate sul nostro io interiore, cercando di raffigurarlo come una casa, capace di accogliere e custodire la presenza di Dio. Etty Hillesum nell’orrore dei campi di concentramento scrive “L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio”. Ecco allora che, tra tanta confusione, ferite e chiusure ci impegniamo a fare spazio a Dio, a liberarci delle etichette che utilizziamo per definirci e a mettere in discussione le certezze che difendiamo. Ci prepariamo a farci sorprendere un po’ più nudi, un po’ più veri dal nostro Dio, che con tanta delicatezza viene ad incontrarci. Vogliamo davvero fare “Centro” e sentire che sì, io “C’entro”, individuando e rimettendo al proprio posto le poche cose che contano!
Buon cammino di preparazione alla Pasqua

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Viaggio a Charre

Provo a rispondere al difficile compito di descrivere l’impatto dell’esperienza di volontariato a Charre attraverso i versi della canzone “L’ultimo spettacolo” di Roberto Vecchioni. Recita così: «Li vidi ad uno ad uno mentre aprivano la mano e mi mostravano la sorte come a dire “noi scegliamo!
Non c’è un dio che sia più forte” e l’ombra nera che passò ridendo ripeteva “no”». Mentre ascoltavo queste parole, sul treno di ritorno da Mutarara a Beira, pensavo ai bambini di Charre con cui avevo condiviso tre settimane. Ancora oggi, a distanza di tempo, ascoltando quelle parole, vorrei tornare tra loro, tra la criança di Charre.
Penso che questi versi siano la chiave per spiegare l’impatto di questo viaggio. Mi identifico pienamente con il primo verso della canzone: anch’io ho visto quei bambini aprirsi con fiducia.
Erano pieni di speranza e di desideri, seppur lucidi circa le loro condizioni di vita. Penso in particolare a Mingo, un bambino di dieci anni che il giorno prima che partissi mi ha preso per mano e si è alzato in punta di piedi per sussurrarmi all’orecchio: “Nenda nathu”, che in lingua sena significa “voglio venire con te”. Credetemi, queste parole non sono semplicemente il frutto di un legame affettivo, ma riflettono la lucida consapevolezza di una realtà diversa a cui tutti aspirano: l’Europa. Per molti di loro, però, destinati a trascorrere il resto della loro vita tra un tetto di paglia sorretto da mattoni di fango e un campo da coltivare, l’Europa rimarrà un sogno inaccessibile.
L’ombra che offusca i desideri di Mingo e di tutti gli altri è, come suggerisce Vecchioni, simile ad un’ombra nera che si staglia sulla loro vita. Non importa definirla in termini precipui, possiamo chiamarla destino, sorte, fortuna oppure caso. È importante, invece, capire che questa ombra nera condiziona le loro opportunità e aspirazioni sin dalla nascita, semplicemente perché sono nati in Mozambico e non altrove. Il nocciolo dell’insegnamento che ho portato a casa da questo viaggio sta in questo, e cioè nel fatto che a nessuno è data la facoltà di scegliere dove nascere, eppure il luogo di nascita influisce in modo significativo sulle condizioni e le aspettative di vita di ciascuno. E proprio perché si tratta di un evento arbitrario, sarebbe assurdo parlare di “colpa”. Nessuno ha “colpa” di nascere in Mozambico, così come nessuno “merita” di nascere in Europa. Però, bisogna riconoscere che chi ha la fortuna di nascere in Europa detiene un grande privilegio. Infatti, né io né Mingo abbiamo scelto dove nascere, eppure questa circostanza arbitraria determina drasticamente le nostre vite. Inoltre, penso che la consapevolezza di questo privilegio porta con sé una responsabilità importante. E proprio questa responsabilità, e non l’istinto colonizzatore degli occidentali descritto da Kipling, è il fardello che grava sugli uomini e le donne provenienti dai paesi più sviluppati.
Per concludere, il viaggio a Charre mi ha insegnato che la vera ricchezza sta nella condivisione e nell’aiuto reciproco, e che il privilegio comporta una responsabilità sociale verso coloro che, per un capriccio del destino, non godono delle stesse opportunità.

JMJ a Lisbona

Un gruppo di giovani Santarcangiolesi insieme a don Davide, don Ugo e suor Nadia ha partecipato alla JMJ a Lisbona percorrendo un tratto del cammino Portoghese di Santiago. Esperienza ricchissima sia nella prima parte di cammino che nella seconda di incontro con il Papa, la Chiesa, i giovani di tutto il mondo, vogliamo condividerla attraverso le immagini e il racconto di qualcuna/o di loro.

Abbastanza addormentati ma carichi pensando a quello a cui saremmo andati incontro, sabato 29 luglio, festeggiando il compleanno di un ragazzo che era con noi, siamo partiti per Santiago. Il giorno dopo abbiamo iniziato il cammino. Con la sveglia mattutina prima dell’alba che ci faceva camminare in città addormentate, dove alle volte era necessaria una torcia per vedere, si creava un’atmosfera davvero suggestiva. Si alternavano momenti di riflessione personale, chiacchiere, condivisioni, canti e a metà mattina c’era la prima pausa ufficiale, che offriva nuovi argomenti a cui pensare. Ogni giorno infatti c’era un personaggio biblico che ci accompagnava proponendoci un modo diverso di alzarci e fare qualcosa: Samuele per rispondere alla nostra vocazione, Paolo per lasciarsi guidare, Giuditta per farsi strumento nelle mani di Dio, una donna adultera per essere perdonata, Elia per andare incontro a Dio. Così anche noi abbiamo cercato di capire quando nella nostra vita ci siamo rialzati, come l’abbiamo fatto e abbiamo provato a scorgere la presenza di Dio accanto a noi. Conoscendo sempre di più chi avevamo vicino e confrontandoci, arrivavamo ogni giorno alla fine della tappa con i piedi doloranti, bisogni di un massaggio, a volte con le bolle, ma custodendo nel cuore sempre nuovi doni.

Il nostro programma prevedeva 5 giorni di cammino al contrario, in direzione di Lisbona, e gli ultimi tre alla JMJ. Il cammino portoghese in realtà inizia a Lisbona che era per noi la meta. Così venerdì dopo un tragitto in pullman e treno, siamo passati dall’essere in 21 e camminare in tranquillità, alla via Crucis della JMJ con una folla incalcolabile e un caos considerevole. Era impressionante e meraviglioso essere circondati da giovani che come noi si erano alzati per andare incontro a Dio. La via Crucis è stata semplice, arricchita dai ballerini e da alcune storie che testimoniavano quanto Dio si faccia vicino a noi soprattutto nel momento della prova e anche se sbagliamo. Poco prima della JMJ infatti il papa stesso ci aveva detto: “Anche se sbagliate, Dio è pazzo d’amore per voi!” e ci ha portato le prove di ciò.

Sabato dopo una bellissima festa nella parrocchia in cui abbiamo dormito, ci siamo diretti nel campo in cui saremmo rimasti fino al giorno successivo. Nonostante sapessimo in quanti fossimo, era impossibile comprenderlo, ovunque ci girassimo c’erano giovani in festa. Abbiamo ascoltato qualche storia ed era straordinario il sorriso di tutte le persone che avevamo intorno.

Quella sera c’è stata la veglia, dove il Papa ha affermato che nella vita si cade, l’importante è sapersi rialzare e se vediamo qualcuno che è “rimasto caduto” dobbiamo aiutarlo a rialzarsi. Infatti è lecito guardare qualcuno dall’alto al basso solo se è per aiutarlo a rialzarsi. Alla fine del suo discorso Francesco ci ha dato coraggio ricordandoci che nella vita tutto ha un costo, solo una cosa è completamente gratuita: l’amore di Gesù. Con questa speranza è iniziato un momento di adorazione. È stato da brividi, tutti inginocchiati verso il palco ad affidare a Dio la propria vita, con la certezza di essere amati.

Dopo la notte, con un’alba splendida ci siamo alzati e preparati per la messa. Il papa ha definito le tre azioni che devono essere presenti nella nostra vita: brillare, ascoltare e non temere. Infatti brilliamo quando amiamo come Gesù ci ha insegnato, per farlo però è fondamentale ascoltare la Sua parola, questo è il segreto, e infine non dobbiamo avere paura. Gesù lo ripete continuamente perché sa che è una nostra fragilità, ma ci garantisce che Lui è sempre con noi, dunque non dobbiamo temere.

La sera stessa eravamo a casa, stanchi ma arricchiti di esperienze, emozioni, testimonianze. Ci è stato donato così tanto in così poco tempo che probabilmente ci metteremo un po’ per capire quanto abbiamo ricevuto. Per ora possiamo ringraziare e vivere cercando di far entrare almeno un po’ di quanto ci è stato donato nella nostra vita quotidiana. (Elisabetta)

La parola più adatta che userei per descrivere quest’esperienza è: grande.

Con il gruppo abbiamo deciso di dividere questa GMG in due fasi, ovvero un pezzo del cammino di Santiago e poi Lisbona.

La prima fase è stata propedeutica alla seconda, in quanto è stato anche grazie al tempo di riflessione e di solitudine che abbiamo passato durante il cammino che siamo riusciti a viverci a pieno la giornata mondiale dei giovani a Lisbona. Infatti passare di punto in bianco da essere 21 ad essere 1 milione e mezzo è un gran bel cambiamento, un salto che destabilizza inevitabilmente.

Personalmente è stato però un salto bellissimo, in quanto prima ho potuto fare un’analisi interiore e poi ho potuto applicare le mie scoperte al “mondo intero”.

A Lisbona ho vissuto l’emozione più grande della mia vita, ovvero sentirmi parte di qualcosa per davvero. Essere circondata da persone come te, che anche se parlate due lingue diverse ti comprendono è una sensazione grande. Sentirsi compresi e felici come non lo si è mai stati penso che sia l’emozione più bella che si possa provare. Sentirsi per la prima volta nella propria vita non soli, che non si è soli a lottare contro il mondo.

Per me è stato questo: una cosa grande, sia a livello concreto ovvero di numeri, persone, ecc… sia a livello emotivo, l’emozione più grande che si possa provare, la gioia.

Sono tornata a casa così colma di emozioni che tuttora non sono riuscita ad elaborare davvero tutto quello che ho provato, sentito e compreso.

L’unica cosa di cui sono sicura è che la mia anima e la mia fede sono cambiate, si sono evolute, e ho capito che la mia fede non è solo una parte di me, ma la base su cui poi costruire la mia vita.

Ho capito che è la cosa che mi rende felice e che non sono la sola a provare un’emozione simile a 21 anni. Perché, diciamocela tutta, al giorno d’oggi essere credenti è l’eccezione non la regola, soprattutto a quest’età.

Spero di poter vivere altre giornate della gioventù e spero di non essere la sola a cui la GMG ha cambiato la vita in meglio. (Anna)

Rileggevo gli appunti scritti di getto per tutto il viaggio. Sono tutte piccole pillole slegate che mi aprono enormi sensazioni e mi ricordano della ricchezza di spunti che mi ha offerto questo cammino con meta Lisbona.

Sí, un viaggio, perché noi abbiamo vissuto una Gmg speciale, arrivando a Lisbona il 4 agosto, ma iniziando il cammino insieme a Santiago. Dal 28 luglio, abbiamo proceduto lungo il cammino portoghese, a ritroso (“de regreso” rispondevamo a tutti i pellegreni che ci osservavano sconcertati). Un percorso scandito dalle difficoltà di trovare un passo e un ritmo comune in 20 e delle pressanti aspettative che automaticamente mi ero generato con l’idea di Gmg. Niente è stato come le aspettative. Il clima generato da 20 ragazzi in cammino non può che essere diametralmente opposto a quello della caotica Lisbona. Tuttavia, ci stavamo effettivamente preparando alla condivisione e all’ascolto. Prima di tutto l’ascolto di noi e delle nostre esperienza che quotidianamente i ragazzi del “gruppo spirituale” hanno collegato a un brano di Vangelo, rendendo noi ascoltatori  accettori e custodi di un pezzo della loro vita. Sono state storie di speranza, certo ci hanno raccontato le loro cadute, ma ci hanno raccontato soprattutto la voglia di rialzarsi, ci hanno trasmesso la forza della consapevolezza della presenza di Dio e la Sua viva azione nei loro vissuti, che è riuscita a dargli lo slancio per rialzarsi. A riprendere tutte questo voci è stato proprio il papa nella veglia: l’importante non è non cadere, bensì non rimanere per terra.

La continuità tra il cammino e la meta si è invece spezzata nello scenario: dalla fresca e silenziosa Galizia alla calda e frenetica Lisbona. La prima suggestione portoghese non poteva che essere lo spettacolo multicolorato delle bandiere, delle maglie e dei volti dei tanti ragazzi che affollavano la stazione. Quell’immagine in cui le bandiere e le culture di tutto il mondo si incontrano e sono segni di comune appartenenza a un mistero più grande e non ragione di conflitto penso sia il più grande dono che ho ricevuto prima di entrare nel campo. Perché è vero  rimarranno in me la via Crucis, l’accoglienza dei portoghesi ad Azabuja e la lunga marea umana che si dirigeva ai settori, ma dentro al parco Tejo l’atmosfera non puo che sconvolgere chi vi entra. Il senso di unità con migliaia di giovani da tutto il mondo mi ha riempito profondamente l’anima, così come la loro gioia. Nelle chiacchiere, negli scambi ho sempre sentito una vicinanza incredibile a tutte le persone a cui anche solo battevo il cinque. Ritrovarsi alle 3 con portoghesi, tedeschi, italiani e polacchi a ballare in cerchio, tra migliaia di ragazzi che dormivano sull’asfalto, contando il tempo in 4 lingue diverse è stata l’immediata realizzazione del miracolo che stava succedendo in quel luogo. Miracolo che si è realmente concretizzato quando tutti questi ragazzi con la nostra instancabile allegria abbiamo fatto silenzio per la veglia e la messa. Ho ritrovato il senso di quel raduno, che non è stato solo un’enorme bolgia rintronante, ma una spinta a credere e vivere questa fede con tanti ragazzi che hanno altrettanta gioia da condividere. (Samuele)

La GMG di Lisbona è stata la mia prima GMG. Non nego di essere partita un po’ titubante ma tornata a casa posso dire che ne è davvero valsa la pena. Sono stati giorni ricchi di risate ed emozioni che mi porterò per sempre nel cuore. La cosa che più mi rimarrà impressa però sarà quel milione e mezzo di giovani provenienti da tutto il mondo per ascoltare le parole del Papa. Giovani che mi hanno fatto capire davvero che quello in cui credo non può che non essere vero e che la Chiesa è una realtà molto più grande e viva di quello che si pensi al giorno d’oggi. I momenti più belli di quelle giornate sono stati, a mio parere, quelli di preghiera e soprattutto la Veglia di sabato sera. Del discorso del Papa ciò che più mi ha colpito è stata la parte relativa alla “gioia missionaria”; sapere che anche io posso fare del bene agli altri ed essere una radice di gioia per qualcuno mi ha fatto sentire di poter fare la differenza anche solo con piccoli gesti. (Aurora)

Durante il cammino di Santiago ho avuto l’occasione di riflettere molto sugli spunti che ci sono stati offerti. Inoltre grazie alle condivisioni ho potuto anche scoprire il punto di vista altrui.

Durante le tre giornate in cui realmente abbiamo partecipato alla GMG, con tanti altri giovani provenienti da tutte le parti del mondo, mi sono divertito molto.

Per me la cosa bella della GMG oltre alla via crucis, la veglia e la messa con il papa è stato vedere che così tante persone erano lì per il tuo stesso motivo. (Davide Z.)

GIORNATA DEL SI

In una giornata limpida dove il sole si fa sentire, ma il calore viene moderato da un venticello fresco e a tratti furbetto, ci siamo incamminati (in pullman) direzione Fatima. Durante il viaggio abbiamo pregato e meditato il Si di Maria (canto Maria do sim) e dall’ evangelista Giovanni  la triplice domanda di Gesù a Pietro: “Simone, mi ami tu?”…. il suo triplice si…. ha fatto seguito una condivisione a coppie del nostro si, nelle varie situazioni o realtà di vita. È stata una stimolante condivisione che ha aperto finestre ad ulteriori condivisioni. Arrivati a Fatima verso mezzogiorno ci siamo immersi in un fiume di giovani che con le loro bandiere multicolore, volti sorridenti e tanta allegria, provenienti da tutto il mondo ci sentivamo proprio in un “altro mondo”. E già si respirava aria e clima della Giornata mondiale della gioventù. Si avvertiva una fede viva e vivace e la voglia di comunicare abbatteva ogni barriera di lingua. La “padrona di casa” Nossa Senhora de Fátima era li ad aspettarci ognuno con le sue preoccupazioni, sofferenze, dubbi e richieste. Lei con la Sua dolcezza e  braccia aperte, si percepiva una voce..: venite qui, lasciate qui il vostro peso, consegnate a me ogni vostra preoccupazione e fidatevi di me. Abbiamo coronato questa giornata con una Celebrazione Eucaristica Universale sulla spianata ricca di colori e bandiere. Il mondo giovane era presente. La Chiesa giovane ha cominciato il suo evento sotto la protezione di Maria. E il ritornello che si udiva in varie lingue: questa è la gioventù del Papa!

Suor Claudia

LA COMPAGNIA DEL BUON CAMMINO!

Pronti…partenza…VIA…..Casa San Francesco (Campigna), ci attende!

E così dal 15 al 22 luglio 2023, un gruppetto di 15 ragazzi di seconda e terza media delle parrocchie di Brisighella-Fognano, assieme ai loro educatori, hanno iniziato la loro avventura insieme…  

Accompagnati da alcuni genitori, abbiamo raggiunto la nostra meta dove ci attendeva  il gruppo dei bambini delle elementari e di prima mediache ci ha preceduto e con il quale abbiamo condiviso la Celebrazione Eucaristica in mezzo alla bellezza della natura.

Dopo il pranzo insieme,  una volta partiti i bambini e sistemate le  varie cose, abbiamo iniziato il nostro campo tutti molto “carichi” di gioia e di entusiasmo, di aspettative, di desideri, ma soprattutto di tanta voglia di divertirsi e stare insieme ai propri amici.

Ed è stato proprio il filo rosso dell’amicizia, ad attraversare i vari momenti del campo: le catechesi, la riflessione personale e di gruppo, le attività, i giochi, la preghiera….  Tutti ingredienti necessari per scoprire la bellezza dello stare insieme e far crescere “LA COMPAGNIA DEL BUON CAMMINO!”.   

Veniamo da Te, chiamati per nome, che festa Signore, tu cammini con noi…” : fin da subito, facendo risuonare le parole di questo canto, abbiamo voluto sottolineare che il nostro ritrovarsi insieme, non era per caso, ma perché Qualcuno ci aveva “convocati” per vivere insieme un tempo bello e prezioso, un tempo importante per  incontrare se stessi, rafforzare i legami di amicizia e crescere nella conoscenza di Gesù.

Ogni momento di catechesi, è stata occasione per riscoprirsi accolti, amati, perdonati e soprattutto chiamati in prima persona a mettersi in gioco mettendo a disposizione i propri doni con semplicità e generosità; riflettere su quanto sia importante imparare a fare scelte belle ed importanti anche quando costano sacrificio, alzarsi dalla proprie comodità per mettersi in cammino e scoprire dove il Signore mi sta chiamando a donare la mia vita e ad essere pienamente felice.

Tanti i momenti di gioco che hanno aiutato a fare “squadra” e a puntare soprattutto a divertirsi anche quando la vittoria non era assicurata!

Così pure le belle (e a volte faticose) passeggiate, ci hanno permesso di  sperimentare  ancora una volta l’importanza di sentirsi compagni di viaggio, imparando a rispettare i tempi dell’altro, a rallentare il passo qual ora ce ne  fosse bisogno, a gioire per l’arrivo di tutti! Ed anche a godere della bellezza del paesaggio delle foreste Casentinesi! 

Anche i momenti dei pasti sono state occasioni per “chiacchierare” un po’ con tutti, per conoscersi meglio, e soprattutto apprezzare l’ottimo cibo preparato da Maria, la nostra cuoca a 5 stelle alla quale va il nostro grandissimo grazie….!

Ma una settimana corre veloce… E così ci siamo ritrovati sabato mattina attorno alla mensa dell’Eucarestia, per dire il nostro “grazie” al Signore per la bella settimana vissuta insieme, per i tanti doni ricevuti, per  l’opportunità di crescere nell’amicizia tra di noi e con Lui.  E siamo ripartiti con il cuore colmo di gratitudine e con il desiderio di ritrovarci presto per continuare a vivere e far crescere “la compagnia del buon cammino” e a mettersi in gioco personalmente e come gruppo, nel servizio ai più piccoli o in altri ambiti all’interno della comunità parrocchiale.      

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I colori dello Spirito 2023

Mi arriva su WhatsApp: “Ah, comunque mi sono scordata di chiederti se ti andava di scrivere due parole sui colori dello spirito, così mettiamo l’articolo sul sito”. Ho aspettato un po’ ad aprire il messaggio anche se riuscivo a leggerlo già tutto in anteprima; la verità è che sapevo di non poter dire di no, e neanche volevo (dire di no), ma certamente non è facile riassumere in poche righe la disordinata bellezza e la semplice gratitudine con cui sono scesa dal Monte dopo quattro giorni così ricchi.

I colori dello spirito sono diversi e ciascuno porta di sé quella sfumatura necessaria per rendere bello l’intero. Come parti dell’umano che costituiscono un corpo, come voci che si uniscono in un coro, così anche noi, unici e diversi, siamo stati chiamati a vivere per prima cosa la Fraternità. La parola sembra impegnativa ma in questi giorni nulla è stato più facile del sentirsi accolto dall’altro con delicatezza, ascoltato con cura, e custodito con rispetto; davvero lo Spirito ha illuminato il colore della fraternità, sia tra quelli di noi che si conoscevano già sia tra coloro che si incontravano per la prima volta.

Così, impregnati della gioia che genera il vivere insieme all’Altro, abbiamo condiviso anche il colore del Servizio. Riaprire una casa dopo l’inverno comporta diversi lavori ma forse su questi è meglio sorvolare, per non rovinare la sorpresa a chi vorrà partecipare il prossimo anno. Basti sapere che non c’è niente di infattibile, soprattutto se si ha una buona aspirapolvere, una salda scala e numerose pause merenda. E poi, dopotutto, anche pulire e fare ordine è un bel dono, specialmente se cogliamo l’opportunità di farlo fuori e dentro di noi!

E poi la bellezza autentica che ci parla di Lui! Il tappeto di fiori che ci ha accolto al nostro arrivo, i profumi che uscivano dalla cucina quando delle mani gentili cucinavano per noi, la vista del Santuario della Verna tutte le volte che alzavamo il naso all’insù; proprio tutto ci richiamava a riconoscere il bello attorno a noi, a dire Grazie, e così, anche il colore della Preghiera si tingeva in modo davvero naturale. I momenti e i luoghi pensati per aiutarci a so-stare sulla Parola hanno poi fatto la differenza. Condivido solo un brevissimo spunto, da noi ascoltato in una silenziosissima cappella delle Stimmate, con la speranza che chi legge si incuriosisca un po’ e magari si unisca a noi nel chiedersi da chi e da cosa lasciamo che la nostra vita sia segnata.

“Signore Gesù, non ti chiedo le stigmate di Francesco. Tu sai sono debole, fragile, piccola [..] non saprei portarle. Ti chiedo però in-segnami il tuo nome. In-segnami con il tuo nome. In-segnami perché porti il tuo nome.”

(Sr Diana Presepi).

Eleonora

Scelti, benedetti, spezzati, dati

19 ragazzi dell’Alta squadriglia del gruppo scout Cesena1, 6 capi, 2 cambusieri, 3 giorni di triduo pasquale e 1 città stupenda: Assisi!!! Un mix perfetto per prepararsi alla Pasqua, un mix perfetto per riscoprirsi scelti, benedetti, spezzati e amati!!!

Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo”.  (Mt 26,26)

Prende, benedice, spezza e dà il pane come il suo corpo, ogni giorno nell’eucarestia. Quattro azioni e un unico mistero, quello della vita di Gesù. Queste le quattro parole che ci hanno accompagnato a vivere il triduo ad Assisi nella città di Francesco. Quattro parole che abbiamo ritrovato nella sua vita e nella nostra.

Presi, o meglio scelti, come Francesco chiamato a riparare la casa del Signore, la Chiesa, e non solo quella di san Damiano ma quella nel cuore dei credenti, il corpo vivo di Cristo. Ma anche noi siamo scelti, da Dio, attraverso il battesimo, in modo unico e personale, scelti per far parte della chiesa, della famiglia umana. Un amore completamente gratuito che mentre sceglie non esclude nessuno, anzi, amplifica cuore e mente!

Benedetti, cioè confermati nel bene! Francesco ha vissuto la conferma nel bene quando il Signore gli ha mandato dei fratelli. È nelle relazioni che scopriamo e viviamo il bene. Sono i fratelli e le sorelle che ci dicono la nostra preziosità, il nostro essere benedetti, il nostro essere amati. Siamo lo specchio gli uni degli altri, uno specchio da solo non può far vedere nulla ma se ha davanti un altro specchio può riflettere la bellezza che lo abita.

Spezzati, cioè crepati, fragili, bucati…. Chi non ha fratture? Chi non ha mai sentito l’insicurezza, l’abbandono, la solitudine, l’esclusione, il giudizio, il rifiuto, il dolore…. Gesù il venerdì santo si lascia spezzare, trafiggere, bucare, crepare. La vita ha tanti sapori: dolce, amaro, piccante, acido, salato! Attraverso ognuno di essi la grazia diventa luce, bene, amore. Come succede nell’incontro con il lebbroso, ciò che era amaro è diventato dolce!

Dati, dati al mondo per diventare semi di amore, semi di bene. Gesù scende nel silenzio del sepolcro, i discepoli attendono insieme nel cenacolo, Francesco chiede di essere steso nudo sulla terra nuda per morire. Come il seme che fra gli altri semi e nel silenzio della terra cresce e diventa un albero che dà frutti. E come ci ricorda Francesco: “Nulla di voi trattenete per voi perché totalmente vi accolga colui che totalmente a voi si offre”.

Scelti per ricevere la benedizione,

benedetti per scoprirsi spezzati,

spezzati per essere dati,

dati per sentirsi amati.

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Sulle strade del Mozambico, ampliando gli orizzonti

Atterrati in Mozambico la prima cosa che salta subito all’occhio è l’orizzonte che si apre attorno a noi: sterminato, senza confini, costellato solamente di monumenti naturali. Per l’occhio occidentale è qualcosa di totalmente fuori dal quotidiano. I nostri occhi sono abituati alle skyline cittadine: profili di palazzi, case, industrie, monumenti; tutte opere create dall’estro umano. Per i più fortunati queste si possono alternare a qualche meraviglia della natura: monti, colli, vulcani, laghi, vaste pianure, il blu del mare e quello che il nostro bellissimo territorio può offrire. Ma la cosa che più colpisce, lasciato alle spalle il piccolo aeroporto della capitale mozambicana, è l’infinito incontaminato; nessuna traccia dell’uomo, solo natura. Un orizzonte che si amplia per il nostro occhio non abituato a spingersi tanto lontano.

Siamo Margherita e Filippo due giovani sposi cesenati. Il 17 marzo, accompagnati dalla guida di suor Daniela, siamo partiti alla volta del Mozambico per conoscere la missione delle suore della Sacra Famiglia in Charre, piccolo villaggio situato nel nord del paese, quasi al confine con il Malawi. Il desiderio di questo viaggio nasce dalla curiosità nei confronti di questa terra e dalla volontà di sperimentarsi nel servizio lontano dai nostri schemi dandoci l’occasione di verificare le scelte fatte fino ad oggi. Viaggiando sulla terra rossa del Mozambico due sono le cose che ci colpiscono: il popolo mozambicano è un popolo in cammino, le persone camminano; non si capisce bene da dove vengano e nemmeno dove stiano andando perché all’orizzonte ci sono solo baobab e campi di mais. Questa è la seconda cosa che ci colpisce: l’orizzonte che sembra non finire mai, un orizzonte sempre più ampio. Ma non è solo l’orizzonte che si è ampliato, anche gli spazi e i tempi: le città, i paesi e i villaggi sono separati tra loro da ampi spazi inabitati; per percorrere poco più di 400 chilometri è necessaria una giornata di macchina.

Arrivati a Charre, nonostante il lungo e impegnativo viaggio, non ci serve più nulla, non abbiamo bisogno di nulla: siamo giunti a casa! Siamo a chilometri di distanza dall’Italia, nella savana, non parliamo la lingua di questo popolo e capiamo solo qualche parola di ciò che dicono eppure ci sentiamo a casa. Ci sentiamo accolti, desiderati e voluti bene dalle suore che ci aspettano a braccia aperte e con la tavola apparecchiata; dalle ragazze dell’internato che sulla soglia ci attendono per darci il benvenuto tra canti, danze e petali di fiori; pure il geco in camera appostato sopra i nostri letti sembra aspettare il nostro arrivo. Nel giro di qualche giorno ci rendiamo conto che l’accoglienza non è solamente una virtù di chi vive la missione, ma è insita nel popolo che abita il villaggio che la circonda. I bambini che non appena hanno saputo dell’arrivo degli “azungu” (termine del dialetto locale per indicare i bianchi di pelle) si avvicinano incuriositi e desiderosi di stare con noi a giocare. Le ragazze che per comunicare con noi, affascinate dai suoni strani delle parole in italiano, vengono e con disegni o indicando oggetti attorno a noi ci insegnano le prime parole in portoghese. I parrocchiani che per darci il benvenuto sono venuti ad offrirci i loro beni più grandi: farina, mais, galline e anatre. E la cosa che più ci sconvolge è proprio questa: pur possedendo poco o niente, pur vivendo o di sussistenza o con i pochi soldi che il lavoro può dare questo popolo ha tanto desiderato la nostra presenza che non si è posto limiti nel donarsi per accoglierci.

Nel mese trascorso in Mozambico abbiamo avuto la possibilità di conoscere e visitare diverse comunità di missionari: francescani, saveriani, orsoline… tante comunità distribuite sul territorio mozambicano. Qui, condividendo con loro la tavola, la preghiera e il servizio respiriamo che la Chiesa è casa anche a migliaia di chilometri di distanza dal luogo in cui viviamo. Qui sperimentiamo che la Chiesa è un’unica grande famiglia capace di mettere insieme uomini e donne tanto diversi, ma sotto quella croce tutti fratelli. L’orizzonte nuovo che si apre difronte a noi è questo: qui dove le necessità si spingono fino ai bisogni primari per vivere non c’è spazio per cadere in contrasti o in dinamiche di prevalenza; qui le comunità di missionari hanno bisogno di supportarsi a vicenda nel concorrere al bene. Qui la Chiesa è un unico corpo, che seppur con tutti i limiti dell’essere umano, è in grado di far collaborare tutte le sue diverse membra.

Siamo partiti per il Mozambico con una grande curiosità: ma cosa fanno le suore della Sacra Famiglia in questa terra così abbandonata e isolata dal resto del mondo? Sono varie e disparate le attività che fanno le suore in Charre, cercando di rispondere ai bisogni che il territorio che le circonda manifesta: l’internato per le ragazze che frequentano la scuola secondaria, dando in questo modo la possibilità a chi abita distante dalla scuola di avere un luogo familiare dove vivere nei pressi di essa; la scuolina, ovvero un rinforzo scolastico per i bambini che frequentano le prime classi della scuola primaria per fare in modo che gli insegnamenti appresi durante le lezioni non cadano nel vuoto e che questi bimbi possano imparare quantomeno il portoghese; o ancora la distribuzione del latte in polvere alle donne che non possono darne ai loro bambini. Queste sono solo alcune delle attività svolte, ma la cosa che più ci è rimasta nel cuore è come stanno in quel luogo. Sì, perché prima di tutto le tre sorelle stanno. Ed è proprio nel loro stare, non solo fatto di grandi opere, ma anche di silenzi e semplice presenza, che portano la bellezza e la possibilità di un futuro diverso per quei bambini, per quelle ragazze e per tutte le persone che con loro vengono in contatto. Alla domanda che prima di partire ci ponevamo ci siamo dati questa risposta: sono lì, anzi stanno lì, per donare uno sguardo diverso, per ampliare l’orizzonte a tutte le persone che loro incontrano.

Margherita e Filippo

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Grazie Francesco!!!

Sguardi, sorrisi, parole, lacrime, presenza, dialogo, preghiera….queste sono alcune delle parole che potrebbero descrivere l’accoglienza di questa estate a La Verna.
Sono stati tre mesi continui di incontro con anime alla ricerca di riposo, spensieratezza e dialogo. Quante storie ascoltate e portate nella preghiera, quanto bene e parole di bellezza per quello che facciamo abbiamo ricevuto. Accogliere significa proprio RICEVERE PRESSO DI SE’ tutte queste cose.
Grazie a tutte le persone che sono passate anche solo per un saluto, a chi ha “poggiato il proprio capo” per qualche giorno o settimana, a chi ha prestato un po’ del suo tempo per fare servizio…è un arrivederci alla prossima estate!!!!

Seguendo passi audaci

Dal 17 al 19 giugno ho avuto modo di partecipare alla bella esperienza: “Seguendo passi audaci”, tre giorni di cammino da Rocca San Casciano a Modigliana, accompagnati da riflessioni, preghiera, fraternità e preziosi incontri insieme alle suore Francescane della Sacra Famiglia.

E’ stato un bel momento di condivisone ed accoglienza e fin da subito si è creato un buon clima di fraternità. Durante l’esperienza abbiamo ricevuto il regalo di ascoltare la testimonianza di vita di Tito, un babbo che ha perso un figlio a causa di un tumore; di Tito mi ha colpito la sua forza, il suo coraggio, il modo amorevole con cui è stato vicino al figlio e la sua grande fede.

Seguendo passi audaci abbiamo attraversato paesaggi stupendi pieni di colore e profumi; la bellezza della natura mi ha fatto riflettere sui doni gratuiti che Dio ci fa ogni giorno, sulla meraviglia delle piccole cose e sull’importanza del saper ringraziare. Con gli occhi pieni di stupore siamo poi tornati nella nostra quotidianità pronti per compiere passi audaci nella vita di tutti i giorni che possano lasciare un segno indelebile nelle nostre vite.