Gesù e il discepolo amato: chiamate ad avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, siamo in ascolto del Suo cuore che ama sempre, per primo, tutti, per collaborare al Suo progetto di salvezza.
Al Getsemani: alla sequela di Cristo che imparò l’obbedienza dalle cose che patì (Eb 5,8), fino alla morte, la più ignominiosa e crudele, siamo chiamate a vivere anche noi l’abbandono alla volontà del Padre, per condividere con Gesù il ministero della Sua Pasqua.
Ss. Trinità: generati da Dio, figli nel Figlio, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, siamo inserite nel circolo di amore della Trinità.
La Sacra Famiglia: convocate nel nome del Signore, la nostra vita fraterna è caratterizzata da uno stile familiare di pace, frutto della comunione tra le sorelle, di unione, avendo un cuor solo e un’anima sola, e di concordia portando avanti insieme il progetto di salvezza che il Padre ci ha affidato in Cristo, unico Redentore del mondo.
Cristo Redentore e Salvatore:
“questo è il disegno del Padre, fare di Cristo il cuore del mondo”.
“Nessuno ha un amore più grande di Colui che dà la vita per i suoi fratelli”
Noi ai piedi della croce:
contempliamo il sommo e unico Bene, l’amato Crocifisso e risorto che ci indica la strada dell’amore, amandoci e spingendoci ad offrire la vita, come Lui.
Dopo aver messo testa e cuore sul petto di Gesù, siamo mandate a proclamare l’amore di Dio per l’uomo, in modo particolare alla gioventù, con la testimonianza e il servizio nella vita quotidiana, chi con la catechesi e l’evangelizzazione, coltivando la nostra vena contempl-attiva.
C’ENTRO a Santarcangelo
Da secoli l’uomo, con occhi affascinati, guarda in su cercando risposte alle grandi domande nell’interpretazione del cielo e le stelle. È ammirando una realtà così distante dalle piccole vicende umane che Einstein intuisce la teoria della relatività: due stelle, due puntini lassù, per incontrarsi devono trovarsi nello stesso istante, nello stesso posto.
Non è forse questa un’evidenza che sperimentiamo ogni giorno? Per essere certa di partecipare ad un’importante riunione alle 8.00 a Milano, chiederò informazioni sulla posizione esatta e, per sicurezza, imposterò un promemoria qualche ora prima. Sarebbe un bel guaio se impostassi male l’indirizzo sul navigatore o se arrivassi in ritardo!
Anche gli incontri con Dio hanno uno spazio e un tempo dedicati, che, nel loro essere così profondamente umani, vengono consacrati dall’accoglienza della sua presenza. È su questo tema che si innestano le tre tappe di un cammino, tutto al femminile, che si svolge tra Santarcangelo, Cesena e La Verna, ospiti delle Suore della Sacra Famiglia (spazio per l’appunto) durante tre weekend tra gennaio e aprile (tempo).
Il primo appuntamento ha preso avvio da una riflessione sul nostro modo di relazionarci con lo spazio esterno. Possiamo sostare in un dato luogo o attraversarlo, abitarlo, evitarlo, rifugiarci, esserci trattenuti, stare in pace o trovarci scomodi. Sia che percepiamo lo spazio come cornice del nostro agire, sia che gli riconosciamo un ruolo di protagonista, certo è che ci condiziona e ci identifica come uomini.
Lo stesso Gesù si fa chiamare il Nazareno ad indicare che ha messo davvero radici sulla terra, che, nel suo essere “di ciccia”, ha affidato ad un preciso luogo il tempo della sua crescita fisica e spirituale. L’abbiamo seguito, leggendo il Vangelo di Marco, per le strade della Palestina dove, tra il trambusto della folla, compiva miracoli. E poi ci siamo intrufolate con lui nell’intimo delle case di amici, dove a pochi rivelava il senso di ciò che avevano/avrebbero visto e vissuto fuori. Abbiamo conosciuto un Gesù che sta al nostro fianco e rende la strada condivisa un cammino di vita costellandola di domande “Chi sono io?”, “Perché mi segui?” “Mi ami?” e che non ci abbandona anche nei passaggi più bui, come sulla barca in mezzo al mare “Sono qui, non temere”.
Ci siamo infine soffermate sul nostro io interiore, cercando di raffigurarlo come una casa, capace di accogliere e custodire la presenza di Dio. Etty Hillesum nell’orrore dei campi di concentramento scrive “L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio”. Ecco allora che, tra tanta confusione, ferite e chiusure ci impegniamo a fare spazio a Dio, a liberarci delle etichette che utilizziamo per definirci e a mettere in discussione le certezze che difendiamo. Ci prepariamo a farci sorprendere un po’ più nudi, un po’ più veri dal nostro Dio, che con tanta delicatezza viene ad incontrarci. Vogliamo davvero fare “Centro” e sentire che sì, io “C’entro”, individuando e rimettendo al proprio posto le poche cose che contano!
Buon cammino di preparazione alla Pasqua
I “padri di famiglia” a La Verna
Le nostre motivazioni sono svariate: semplice curiosità, interrogazione, situazione difficile, tappa personale, bisogno di senso, intenzioni da portare, ma anche voglia di condividere o di ringraziare, di silenzio, di convivialità, di natura…
Anche le nostre situazioni personali sono diversificate: sposati, divorziati, vedovi, single in coppia, ma tutti figli e padri, ognuno a modo suo. Le nostre convinzioni spirituali vanno dal quasi niente al quasi tutto: non battezzati, lontani dalla Chiesa o resistenti, ma anche cattolici convinti e praticanti. E per tutti una relazione da iniziare, creare, esplorare o sviluppare con Dio.
La nostra presenza oggi in questi luoghi porta già in sé la testimonianza della Sua chiamata e della Sua presenza. Egli ci raccoglie insieme, Egli ci chiama, chiunque noi siamo e a qualunque punto siamo arrivati.
Ad immagine di San Giuseppe, durante questi giorni veglieremo fraternamente gli uni sugli altri, senza giudizio, nel rispetto della verità e del cammino di ognuno.
Questo cammino sarà a nostra immagine: delle volte sorridente e pieno di sole, altre volte triste e difficile. Ogni tanto sereno e fiducioso, e ogni tanto preoccupato e agitato. Sui sentieri degli appennini che custodiscono le tracce di San Francesco, percorreremo i sentieri della nostra vita, le vie della nostra relazione con Dio.
E al termine raggiungeremo La Verna, questo luogo di Dio, scelto da Lui per manifestare al mondo la potenza del suo amore per San Francesco. Prima che lì ci accolga, possiamo da subito girarci verso di Lui. Con benevolenza protegga i nostri passi e accompagni i nostri pensieri, i nostri incontri e le nostre
preghiere durante questi tre giorni.
Le nostre motivazioni sono svariate: semplice curiosità, interrogazione, situazione difficile, tappa personale, bisogno di senso, intenzioni da portare, ma anche voglia di condividere opreghiere durante questi tre giorni.
Viaggio a Charre
Provo a rispondere al difficile compito di descrivere l’impatto dell’esperienza di volontariato a Charre attraverso i versi della canzone “L’ultimo spettacolo” di Roberto Vecchioni. Recita così: «Li vidi ad uno ad uno mentre aprivano la mano e mi mostravano la sorte come a dire “noi scegliamo!
Non c’è un dio che sia più forte” e l’ombra nera che passò ridendo ripeteva “no”». Mentre ascoltavo queste parole, sul treno di ritorno da Mutarara a Beira, pensavo ai bambini di Charre con cui avevo condiviso tre settimane. Ancora oggi, a distanza di tempo, ascoltando quelle parole, vorrei tornare tra loro, tra la criança di Charre.
Penso che questi versi siano la chiave per spiegare l’impatto di questo viaggio. Mi identifico pienamente con il primo verso della canzone: anch’io ho visto quei bambini aprirsi con fiducia.
Erano pieni di speranza e di desideri, seppur lucidi circa le loro condizioni di vita. Penso in particolare a Mingo, un bambino di dieci anni che il giorno prima che partissi mi ha preso per mano e si è alzato in punta di piedi per sussurrarmi all’orecchio: “Nenda nathu”, che in lingua sena significa “voglio venire con te”. Credetemi, queste parole non sono semplicemente il frutto di un legame affettivo, ma riflettono la lucida consapevolezza di una realtà diversa a cui tutti aspirano: l’Europa. Per molti di loro, però, destinati a trascorrere il resto della loro vita tra un tetto di paglia sorretto da mattoni di fango e un campo da coltivare, l’Europa rimarrà un sogno inaccessibile.
L’ombra che offusca i desideri di Mingo e di tutti gli altri è, come suggerisce Vecchioni, simile ad un’ombra nera che si staglia sulla loro vita. Non importa definirla in termini precipui, possiamo chiamarla destino, sorte, fortuna oppure caso. È importante, invece, capire che questa ombra nera condiziona le loro opportunità e aspirazioni sin dalla nascita, semplicemente perché sono nati in Mozambico e non altrove. Il nocciolo dell’insegnamento che ho portato a casa da questo viaggio sta in questo, e cioè nel fatto che a nessuno è data la facoltà di scegliere dove nascere, eppure il luogo di nascita influisce in modo significativo sulle condizioni e le aspettative di vita di ciascuno. E proprio perché si tratta di un evento arbitrario, sarebbe assurdo parlare di “colpa”. Nessuno ha “colpa” di nascere in Mozambico, così come nessuno “merita” di nascere in Europa. Però, bisogna riconoscere che chi ha la fortuna di nascere in Europa detiene un grande privilegio. Infatti, né io né Mingo abbiamo scelto dove nascere, eppure questa circostanza arbitraria determina drasticamente le nostre vite. Inoltre, penso che la consapevolezza di questo privilegio porta con sé una responsabilità importante. E proprio questa responsabilità, e non l’istinto colonizzatore degli occidentali descritto da Kipling, è il fardello che grava sugli uomini e le donne provenienti dai paesi più sviluppati.
Per concludere, il viaggio a Charre mi ha insegnato che la vera ricchezza sta nella condivisione e nell’aiuto reciproco, e che il privilegio comporta una responsabilità sociale verso coloro che, per un capriccio del destino, non godono delle stesse opportunità.