I “padri di famiglia” a La Verna

Le nostre motivazioni sono svariate: semplice curiosità, interrogazione, situazione difficile, tappa personale, bisogno di senso, intenzioni da portare, ma anche voglia di condividere o di ringraziare, di silenzio, di convivialità, di natura…
Anche le nostre situazioni personali sono diversificate: sposati, divorziati, vedovi, single in coppia, ma tutti figli e padri, ognuno a modo suo. Le nostre convinzioni spirituali vanno dal quasi niente al quasi tutto: non battezzati, lontani dalla Chiesa o resistenti, ma anche cattolici convinti e praticanti. E per tutti una relazione da iniziare, creare, esplorare o sviluppare con Dio.
La nostra presenza oggi in questi luoghi porta già in sé la testimonianza della Sua chiamata e della Sua presenza. Egli ci raccoglie insieme, Egli ci chiama, chiunque noi siamo e a qualunque punto siamo arrivati.
Ad immagine di San Giuseppe, durante questi giorni veglieremo fraternamente gli uni sugli altri, senza giudizio, nel rispetto della verità e del cammino di ognuno.
Questo cammino sarà a nostra immagine: delle volte sorridente e pieno di sole, altre volte triste e difficile. Ogni tanto sereno e fiducioso, e ogni tanto preoccupato e agitato. Sui sentieri degli appennini che custodiscono le tracce di San Francesco, percorreremo i sentieri della nostra vita, le vie della nostra relazione con Dio.
E al termine raggiungeremo La Verna, questo luogo di Dio, scelto da Lui per manifestare al mondo la potenza del suo amore per San Francesco. Prima che lì ci accolga, possiamo da subito girarci verso di Lui. Con benevolenza protegga i nostri passi e accompagni i nostri pensieri, i nostri incontri e le nostre
preghiere durante questi tre giorni.

Le nostre motivazioni sono svariate: semplice curiosità, interrogazione, situazione difficile, tappa personale, bisogno di senso, intenzioni da portare, ma anche voglia di condividere opreghiere durante questi tre giorni.

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Viaggio a Charre

Provo a rispondere al difficile compito di descrivere l’impatto dell’esperienza di volontariato a Charre attraverso i versi della canzone “L’ultimo spettacolo” di Roberto Vecchioni. Recita così: «Li vidi ad uno ad uno mentre aprivano la mano e mi mostravano la sorte come a dire “noi scegliamo!
Non c’è un dio che sia più forte” e l’ombra nera che passò ridendo ripeteva “no”». Mentre ascoltavo queste parole, sul treno di ritorno da Mutarara a Beira, pensavo ai bambini di Charre con cui avevo condiviso tre settimane. Ancora oggi, a distanza di tempo, ascoltando quelle parole, vorrei tornare tra loro, tra la criança di Charre.
Penso che questi versi siano la chiave per spiegare l’impatto di questo viaggio. Mi identifico pienamente con il primo verso della canzone: anch’io ho visto quei bambini aprirsi con fiducia.
Erano pieni di speranza e di desideri, seppur lucidi circa le loro condizioni di vita. Penso in particolare a Mingo, un bambino di dieci anni che il giorno prima che partissi mi ha preso per mano e si è alzato in punta di piedi per sussurrarmi all’orecchio: “Nenda nathu”, che in lingua sena significa “voglio venire con te”. Credetemi, queste parole non sono semplicemente il frutto di un legame affettivo, ma riflettono la lucida consapevolezza di una realtà diversa a cui tutti aspirano: l’Europa. Per molti di loro, però, destinati a trascorrere il resto della loro vita tra un tetto di paglia sorretto da mattoni di fango e un campo da coltivare, l’Europa rimarrà un sogno inaccessibile.
L’ombra che offusca i desideri di Mingo e di tutti gli altri è, come suggerisce Vecchioni, simile ad un’ombra nera che si staglia sulla loro vita. Non importa definirla in termini precipui, possiamo chiamarla destino, sorte, fortuna oppure caso. È importante, invece, capire che questa ombra nera condiziona le loro opportunità e aspirazioni sin dalla nascita, semplicemente perché sono nati in Mozambico e non altrove. Il nocciolo dell’insegnamento che ho portato a casa da questo viaggio sta in questo, e cioè nel fatto che a nessuno è data la facoltà di scegliere dove nascere, eppure il luogo di nascita influisce in modo significativo sulle condizioni e le aspettative di vita di ciascuno. E proprio perché si tratta di un evento arbitrario, sarebbe assurdo parlare di “colpa”. Nessuno ha “colpa” di nascere in Mozambico, così come nessuno “merita” di nascere in Europa. Però, bisogna riconoscere che chi ha la fortuna di nascere in Europa detiene un grande privilegio. Infatti, né io né Mingo abbiamo scelto dove nascere, eppure questa circostanza arbitraria determina drasticamente le nostre vite. Inoltre, penso che la consapevolezza di questo privilegio porta con sé una responsabilità importante. E proprio questa responsabilità, e non l’istinto colonizzatore degli occidentali descritto da Kipling, è il fardello che grava sugli uomini e le donne provenienti dai paesi più sviluppati.
Per concludere, il viaggio a Charre mi ha insegnato che la vera ricchezza sta nella condivisione e nell’aiuto reciproco, e che il privilegio comporta una responsabilità sociale verso coloro che, per un capriccio del destino, non godono delle stesse opportunità.