BEIRUT CALLING

I giovani della Caritas diocesana e la loro Lebanese Experience

Beirut Calling, Beirut sta chiamando.

Come cantavano i Clash nella loro celebre canzone London calling, inno alle preoccupazioni delle vicende mondiali del tempo, così è stato chiamato il campo di servizio che la Caritas diocesana ha organizzato per giovani volenterosi che hanno scelto di trascorrere due settimane della propria estate a rimboccarsi le maniche a Beirut e non solo, in Libano.

L’idea di un campo di volontariato internazionale, novità di quest’anno, è nata per integrare le attività che il centro diocesana già porta avanti rispetto ai temi della mondialità e dell’accoglienza, come i laboratori nelle scuole, gli eventi di sensibilizzazione, l’aiuto concreto a chi ne ha bisogno.

L’intento era, in particolare, di accendere i riflettori sull’ampia questione della mobilità umana che negli ultimi anni tanto interroga la nostra quotidianità, non solo  sulla capacità di inclusione delle nostre comunità, ma anche e soprattutto sulle difficoltà dei Paesi di provenienza di chi è costretto, per svariata natura, a spostarsi.

Si è pensato, quindi, di rivolgersi sia a giovani già impegnati nel sociale, sia a giovani lontani dal mondo del volontariato, proponendo un campo di servizio in un luogo di passaggio, di rifugio e di accoglienza che possa mettere in relazione le attività diocesane rivolte a beneficio dei migranti ed un contesto internazionale.

Un luogo impegnato nella risoluzione di crisi umanitarie – di cui sentiamo tanto parlare,  ma di cui continuano a faticare a rilevarne la gravità – e che fungesse poi da osservatorio privilegiato per conoscere e comprendere le articolate dinamiche della regione del vicino oriente, passaggio fondamentale per avere una più chiara lettura anche degli sviluppi delle nostre comunità.

Il Libano, nella sua complessità e nelle sue contraddizioni, offre oggi scenario ideale per un’attività che si ponesse tali obbiettivi.

Vasto poco più che la Basilicata, tassello dell’intricato mosaico mediorientale, sta affrontando le sfide sia economiche sia politiche che i conflitti e l’instabilità dei Paesi limitrofi impongono.

Segnato anch’egli da una guerra civile che ha dilaniato la nazione a cavallo degli anni ’70 e ’90, e da tensioni mai risolte con lo Stato di Israele, ingombrante vicino di casa, ha dovuto caricarsi sulle spalle buona parte del peso e delle conseguenze derivanti dalla crisi della guerra siriana, iniziata nel 2011 e non ancora terminata.

Secondo i dati raccolti dall’ UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, infatti, il numero totale di profughi presenti in Libano è di 952,562 , composto soprattutto da rifugiati siriani, in fuga da appunto un territorio che non sembra trovare pace.

Il Governo libanese, invece, sostiene che il Paese abbia accolto in realtà oltre un milione e mezzo di profughi dall’inizio delle crisi ad oggi, la maggior parte dei quali vive in condizioni di estrema povertà, in tendopoli nella valle della Bekaa o in quartieri popolari dove abusi ed episodi di razzismo sono all’ordine del giorno.

A partire dal 2014, inoltre, una serie di misure adottate dal Governo libanese ha reso sempre più complicato per i rifugiati siriani ottenere un legale permesso di soggiorno, senza il quale è impossibile avere accesso ai servizi pubblici, lavorare regolarmente o semplicemente ricevere un certificato di nascita.

Le condizioni in cui versano i bambini, in particolare, sono drammatiche: il 75% di loro, non va a scuola e il lavoro minorile è molto diffuso.

 Lo sforzo profuso per arginare tutto ciò e palpabile una volta si visiti il Paese, così come palpabile la fatica di una popolazione, quella libanese, ritrovatasi a gestire una situazione emergenziale numericamente insostenibile.

Basti pensare, ad esempio, che il tasso di disoccupazione dei circa 4 milioni di cittadini (si ricordi sempre che i profughi stimati sul territorio sono circa 1 milione) è schizzata dal  7 per cento del 2011 al quasi 40 per cento di oggi, il debito pubblico è in costante aumento, i flussi di capitale esteri in forte calo e la forza economica di quella che una volta veniva definita la Svizzera del medio oriente è solo un pallido ricordo.

All’interno di questa cornice di convivenza civile, inoltre, bisogna considerare il fragile equilibrio sia demografico che istituzionale che abita il paese dei cedri.

L’ordinamento dello Stato e la rappresentanza parlamentare sono rigidamente regolati in base all’appartenenza religiosa.

L’ufficio di Presidenza della Repubblica è assegnato ad un cittadino cristiano maronita, il ruolo di Primo Ministro è affidato ad un cittadino musulmano sunnita, il Parlamento composto per metà da deputati cristiani e per metà da deputati musulmani, e presieduto da un cittadino musulmano sciita.

Una democrazia confessionale dove ogni possibile tensione o mutamento demografico può portare precarietà nella coesione sociale e nei rapporti di forza di governo.

Leggendo queste righe capirete quindi che per dei giovani italiani giunti per offrire la loro goccia di aiuto nel mare mosso del contesto libanese, fosse necessario avere una guida sicura per orientarsi  e non naufragare.

La collaborazione con Caritas Libano, avviata già nell’inverno dalla Caritas diocesana , ed in particolare, una volta atterrati, con i giovani volontari che ne fanno parte, è stata in questo senso una vera ancora.

Le due settimane di volontariato e di conoscenza del paese sono state vissute fianco a fianco con loro, orgogliosi di mostrarci le attività che svolgono su tutto il territorio nazionale, e le bellezze della loro terra.

Nel concreto due sono, principalmente, sono stati i servizi che ci hanno richiesto.

La prima settimana siamo stati educatori di un summer camp, un campo scuola, che la Caritas libanese aveva organizzato nel distretto di Koura, nel nord del paese.

La seconda settimana abbiamo avuto modo di recarci in due diversi campi profughi, una tendopoli di contenute dimensioni ed un edificio a più piani dove risiedono più di duecento famiglie, tutte siriane.

In entrambi è difficile svolgere qualunque tipo di opera.

I servizi statali sono assenti e le organizzazione non governative, sempre meno e con sempre meno fondi, riesco a malapena ad offrire cure mediche ai casi più emergenziali.

I volontari che vi si recano possono mettersi in ascolto delle storie che gli sfollati hanno da raccontare ed intrattenere per qualche ora la miriade di bambini che altrimenti non avrebbero svago alcuno.

Gesti semplici, ma potenti, che nelle prossime righe saranno raccontati dalle ragazze e dai ragazzi che li hanno vissuti e compiuti in prima persona.

Ci è stato offerto uno scorcio di un luogo tanto complesso quanto affascinante, un luogo di guerra imminente e pace guadagnata, un luogo che è al contempo museo delle disuguaglianze e mostra di solidarietà.

Se ne sei incuriosito sfoglia le prossime pagine! 

Davide Agresti