UN MOSAICO DI FEDI E DI VOLTI

UN MOSAICO DI FEDI E DI VOLTI PER RIVELARE LA PRESENZA DI DIO IN OGNI ANGOLO

In alcune ore del giorno, soprattutto in quelle dove il sole dipinge il cielo con i suoi colori più accesi, in Libano si possono udire il suono delle campane e la voce del muezzin che confondendosi e fondendosi richiamano il cuore di ciascun uditore alla presenza di Dio nel tempo.
Il Libano, soprattutto nella sua parte centrale,mostra la sua caratteristica di mosaico di diversità e bellezza, sia nelle chiese e nelle moschee poste l’una vicino all’altra e tanto somiglianti architettonicamente, sia in questi suoni che si confondono.
In questo paese infatti convivono diciotto confessioni religiose, di cui 12 musulmane e 6 cristiane e si tenta, anche a livello istituzionale, di proteggere questa diversità cercando di garantire a tutti i fedeli una condizione di parità. Il presidente della Repubblica è cristiano maronita, il primo ministro è musulmano sunnita, il presidente del parlamento è musulmano sciita.
Elemento di fortissima unione fra le diverse religioni presenti è Maria (Meriem per i mussulmani). Ovunque in Libano si trovano statue di Maria (alcune anche di dimensioni mastodontiche) ma solo dopo alcuni giorni ci siamo accorti che dietro a questa tendenza c’erano ragioni ben più profonde di un semplice devozionismo. Quando siamo andati in visita al santuario di Our Lady of Lebanon, infatti, fra i tanti pellegrini cristiani -sia cattolici che maroniti- abbiamo incontrato anche diversi uomini e donne (alcune anche con il bulka) mussulmani, anch’essi in pellegrinaggio da Meriem. Nell’islam infatti viene riconosciuta molta importanza a Meriem, tanto da dedicarle un intera sura del Corano. E’stato commovente vedere come oltre alla devozione, quella presenza così “massiccia” di Maria rispondesse al desiderio di incontrarsi, di valorizzare ciò che si condivide più che ciò che divide.
La convivenza fra diverse religioni e confessioni non è certamente facile e girovagando da nord a sud del libano ci siamo accorti anche di quanto gli equilibri cambino da zona a zona e siano sempre da ricreare fra fanatismi ed estremismi di ogni religione, ma l’esperienza di quella terra ci ha anche fatto vedere e toccare con mano quanto sia vero ciò che diceva s. Giovanni Paolo II “ Il Libano non è un paese, è un messaggio”. Questo paese infatti, con il suo semplice esistere e con la sua ricchezza, parla di incontri e convivenze che sono possibili, non a partire dalla negazione della dimensione religiosa o delle differenze ma proprio cercando gli aspetti di spiritualità che possono costituire punti di connessione.
Tale apertura è continuamente da riscegliere. Abbiamo incontrato cristiani che hanno ancora vivo il ricordo di tempi di persecuzione e lotta; la Chiesa Libanese si è mostrata a noi come una chiesa che ha saputo e sa accogliere e amare l’altro -a qualsiasi credo appartenga- ma che in alcuni momenti subisce in modo forte il timore di ritornare in situazioni di disequilibrio tali da mettere in pericolo i propri fedeli.
I cristiani libanesi, in maggioranza maroniti, sembrano vivere un forte senso di appartenenza alla Chiesa e, anche attraverso Caritas, coinvolge e educa molti giovani e giovanissimi al servizio e alla vita spirituale E’una chiesa con un volto giovane ma che ha radici profonde anche nel passato.
Bellissimo è stato visitare la Kadija Vally (La valle santa) luogo di rifugio per i cristiani perseguitati ma anche luogo di preghiera, dove si possono trovare monasteri costruiti – oserei dire incastonati- nella roccia.
In uno di questi cenobi, dopo un cammino su sentieri di montagna, abbiamo avuto la grazia di celebrare la S. Messa, insieme ad un gruppo della Caritas di Lodi.
Nelle tante chiese visitate era affascinante vedere come tratti della spiritualità latina si fondessero con elementi orientali, più simili alla chiesa ortodossa e con scritture, tratti e stili che richiamavano il mondo arabo, che generalmente associamo all’Islam.
Molto arricchente è stato poi scoprire due figure di santi tanto amate dai Libanesi: Santa Rafqa e S. Charbel. Quest’ultimo è conosciuto come il “ Padre Pio del Libano”. I giovani stessi ci tenevano a farceli apprezzare e ci hanno condotto a mete di pellegrinaggio relative a queste figure.
Questi sono solo alcuni degli aspetti che abbiamo potuto cogliere del modo di vivere da fede e la religione in Libano.
In dodici giorni non possiamo dire di conoscere approfonditamente questo paese e la sua spiritualità ma certamente abbiamo potuto fare esperienza di una Chiesa sorella che ci ha accolto con grande cura e attenzione, che ci ha testimoniato una grande carità e spirito di servizio verso i più fragili, che cerca di costruire cammini di pace e che sa valorizzare, coinvolgere e responsabilizzare i giovani.
Abbiamo potuto incontrare Ely, Antony, Peter, Nour, Tania, Maron, Rafka…: fratelli nella fede che al di là della fatica a comunicare, ci hanno trasmesso una fede viva, in cammino, capace di provocare.
Abbiamo potuto ascoltare donne rifugiate Siriane e mussulmane che ci testimoniavano la loro fede nella Provvidenza divina,
Abbiamo potuto condividere la fede dei nostri compagni di viaggio nei momenti di preghiera mattutina e nelle condivisioni di domande e vissuti.
Abbiamo potuto scorgere la tenerezza e la pedagogia di Dio che giorno dopo giorno, imprevisto dopo imprevisto ci ha educato e condotto alla scoperta di mondi altri fuori e dentro di noi.
Abbiamo potuto riconoscere la presenza di Dio nascosta nei bimbi Siriani dei campo profughi, nella generosità dei giovanissimi volontari, nella maestosità dei cedri del Libano, nella gioia dei bimbi del Summer camp, nella bellezza dei monasteri maroniti, nella vivacità della musica libanese e nelle mani unite durante la danza tipica che gioca proprio sull’appoggiarsi all’altro per lanciarsi verso l’alto, mantenendo sempre il ritmo comune, la comunione.
Suor Nadia

Di seguito potrete trovare articoli, testimonianze e foto che potranno forse mostrare un po’ dell’abbondanza di questa esperienza.

Dal 29 luglio al 9 Agosto 2019 venti giovani (e quattro accompagnatori fra cui una suora della sacra Famiglia) hanno colto l’occasione proposta da Caritas Faenza- Modigliana di essere ospitati dai giovani di Caritas Libano per vivere un esperienza di servizio e conoscenza di questa realtà.
I giovani di Caritas Libano ci hanno accolto con una generosità ed un calore immensi. Abbiamo vissuto con loro sia giornate di scoperta della bellezza del libano, sia un campo di 5 giorni per l’integrazione e la crescita di 70 bambini libanesi e siriani insieme, sia la visita in alcuni campi profughi. Proprio questa è stata la gradualità pedagogica con cui il Signore ci ha fatto immergere nella realtà del Libano.
Prima di partire per il Libano sapevo poche cose di questa terra, tornava spesso nella Sacra Scrittura, nei salmi che preghiamo quotidianamente come una terra di bellezza, di ricchezza; avevo il ricordo di quando da bambina ne sentivo parlare quasi tutte le sere al TG, immaginavo alcune caratteristiche e, a ridosso della partenza abbiamo fatto alcuni incontri per approfondirne la conoscenza ma in realtà arrivati lì ci siamo accorti di non sapere nulla del Libano. Questo ci ha salvati. Ci ha fatto mettere in un atteggiamento di vero ascolto e incontro.
Siamo ripartiti ancora più convinti di non poter ancora dire di conoscere profondamente questa terra ricca di bellezza e contraddizioni, ricchezza e povertà, desiderio di accogliere e timore di essere” occupati” e appiattiti dall’altro. Siamo ripartiti con le valigie piene di persone, luoghi, realtà, bellezza, storia, fede,lingue,cibo, conflitti e speranze e soprattutto la sensazione di lasciare una casa. Una casa che ci attende, una casa viva, in movimento, che ancora dobbiamo terminare di conoscere ma che sentiamo comunque nostra.

Quando Luca ha descritto a un suo amico quello in Libano come “il viaggio degli imprevisti” si è sentito rispondere: “Senza imprevisti che viaggio è?”. Così pensiamo che anche il ritorno a casa sia parte integrante del viaggio.
Per noi due, sicuramente, uno dei frutti di questa esperienza è stato ed è tuttora affrontare nella quotidianità l’impatto che il rientro ha generato nella nostra relazione.
Questo ci ha aiutato a scavare e ad andare più in profondità nel nostro cammino personale e di coppia.
Un altro aspetto di cui siamo grati è aver potuto incontrare un popolo che prima era solo protagonista di articoli o report, mentre ora dopo aver condiviso tempo, energie, affetto e sofferenza non è più così distante. Ora quando leggiamo qualche notizia la possiamo collegare a dei volti, a un’esperienza condivisa, e questo accorcia le distanze, sia fisiche che culturali.
Elisa, svolgendo la professione di infermiera, trascorre molto tempo a contatto con le persone, e quando le capita che qualcuno le chieda come ha passato le ferie, condivide volentieri questa esperienza. È contenta soprattutto di vedere la reazione delle persone che non rimangono mai indifferenti, ma si lasciano toccare e interrogare dai racconti sul popolo libanese e sul popolo siriano, sulla guerra e sui campi profughi in cui migliaia di persone come noi vivono in condizioni di estremo disagio e sofferenza. Questo le dona la speranza che, in un mondo dove regnano l’egoismo e la disgregazione, si possa ancora creare un contagio di carità, che nel cuore degli uomini si possa accendere la compassione per l’umanità sofferente, che ci riscopre tutti fratelli.
Per Luca, in questo senso, è stato toccante l’incontro con Radda, una signora siriana che abita in un campo profughi. Nonostante l’impatto iniziale molto forte a causa delle differenze sociali e culturali, è stato bello scoprirsi fratelli, entrambi figli amati da un unico Dio.
Siamo rimasti entrambi molto colpiti dal bisogno di tanti bambini di essere guardati e voluti bene con attenzione particolare, per poi renderci conto che nel servizio che svolgiamo durante l’anno in parrocchia gli occhi dei bambini italiani esprimono la stessa identica richiesta!
Questa ricerca dei ragazzi di qualcuno da seguire ha interpellato molto Luca, che al nostro ritorno ha scelto di prendere ancora più sul serio il servizio in parrocchia con i giovani delle medie.
Per tutti e anche per noi due è stato, infine, sorprendente riscontrare sulla propria pelle come l’amore, anche nelle sue forme più piccole e quotidiane, generi vita! Entrambi conserviamo gelosamente i fiori che Awad, ragazzino siriano, ci ha regalato e il suo affetto per noi per qualche tuffo insieme mano nella mano probabilmente ci resterà scolpito addosso per sempre!
Elisa e Luca

Sono partita in Libano il giorno del mio 42º compleanno. Ero la più “vecchia” del gruppo ma ho imparato tanto dai nostri ragazzi volontari e dai giovani volontari Caritas libanesi. Ho imparato tanto soprattutto da coloro che avevano difficoltà a parlare in lingua straniera e che invece hanno comunicato con il gioco, con lo sguardo, con la voglia di darsi con tutto il cuore. Ho imparato tanto dai ragazzi libanesi, proprio da coloro che non sapevano come gestire i bambini perché attraverso loro ho visto la capacità di attendere, di aspettare, che nel mondo occidentale abbiamo pressoché perduto. Ho imparato tanto anche dai bambini che a 10 anni già parlano tre lingue, l’arabo, l’inglese e il francese. Ho imparato dai luoghi, dai posti di blocco che dividono le regioni, dalla frontiera fluida con Israele, dalle bandiere sventolanti dei partiti di lotta armata, dai poster dei martiri all’entrata di alcune città.. Ma anche dai resti archeologici romani che raccontano una grandiosità e un primato che noi attribuiamo sempre a Roma e che invece, proprio lì, alla porta d’oriente avevano raggiunto fasti e maestosità degni di una capitale.
Ho imparato dai campi rifugiati che non c’è “il campo”, che non c’è “il rifugiato” ma modi diversi attivati da persone fuggite dalla guerra di reagire a uno spazio imposto, uno spazio che non hanno desiderato, che subiscono e dal quale non possono paradossalmente andarsene.
Ho anche imparato dai sapori, quello dell’Arak, bevanda alcolica che unisce il Mediterraneo dal Libano alla Grecia (Ouzo), passando per la Sambuca italiana fino al pastis di Marsiglia.
Ho imparato dai suoni, dai rintocchi delle campane che si alternano ai canti dei muezzin, dai tamburi suonati dai bambini libanesi come fossero nati suonando.
Ho imparato tanto come se fossi stata la più “piccola”, così piccola da sentirmi quasi… rinata.
Federica Tamburini

Libano.. una parola che per me, fino a poco tempo fa,non significava molto, faticavo quasi a sapere dove fosse posizionato geograficamente questo paese e conoscevo su di esso poche informazioni che avevo sentito qua e là nei telegiornali. Ora invece quando penso al Libano nascono in me diverse emozioni: ammirazione, stupore, affetto, stima, speranza. Ammirazione per i ragazzi della Caritas Libano Youth che ci hanno accompagnato in tutta questa esperienza, accogliendoci con grande entusiasmo e cercando ogni giorno di farci scoprire il loro paese. Giovani adolescenti che, anche per la loro età, mi hanno stupito per come si donano al cento per cento, nel loro servizio, per gli altri, per gli ultimi, cercando di superare gli stereotipi e la “paura del diverso” spesso presente nelle persone di questo paese dove convivono popolazioni e culture diverse.
Affetto per i bambini che ho avuto modo di incontrare durante il Summer Camp organizzato dalla Caritas e nei campi profughi, chi ho conosciuto solo attraverso un sorriso, chi attraverso un gioco, chi condividendo alcuni giorni insieme creando nuove relazioni, chi si è fidato di me senza conoscermi, chi, anche nella massima povertà, mi ha offerto aiuto, cibo, acqua facendomi sentire accolta e importante. Li ringrazio perché con la loro spontaneità e innocenzami hanno fatto scoprire il Libano attraverso il loro “sguardo da bambini”.
Alle donne incontrate nei campi profughi che ci hanno voluto raccontarele fatiche e le difficoltà di tutto quello che hanno affrontato, a loro va invece la mia più grande stima, perché nonostante vivano in condizioni in cui nessun essere umano dovrebbe trovarsi, sono in grado di affrontare ogni giorno questa realtà con una forza estrema per se stesse ma soprattutto per i loro figli.
Al termine di questa esperienza miporto a casa sicuramente molte domande ma anche speranza, per questo paese, per queste persone che ormai non sono più soltanto un racconto trasmesso da altri ma sono diventati volti e storie, perché possano, come loro stessi ci hanno spesso riferito, raggiungere una vita migliore per se stessi e i loro cari.
Chiara zama

Sono partita per il Libano con curiosità e senza grandi pretese sul programma, come carta bianca su cui scrivere! L’accoglienza calorosa dei ragazzi che si sono messi al nostro servizio i primi giorni è stata un gran benvenuto! Poi mi sono ritrovata io, in prima persona, al servizio dei più piccoli durante il summer camp a cui abbiamo preso parte.
Mi ha colpito come la barriera linguistica non fosse un problema, bastava guardarsi negli occhi per capirsi. Spesso mi sono sentita guardata con grande affetto dai bambini che partecipavano al campo estivo, e questo mi ha fatto capire che il bisogno che tutti abbiamo è lo stesso: il bisogno di sentirsi amati.
Il summer camp, durato quattro giorni, mi ha dato la possibilità di conoscere ed affezionarmi alle persone che avevo attorno, ed il bene che è passato dai rapporti si è visto anche dalla cura che hanno avuto i giovani educatori nel portarci a visitare le bellezze del Libano.
Infine, il gruppo con cui sono partita era numeroso e vivace; è stato bello scoprirci e confrontarci continuamente durante i giorni di viaggio.
Mi sono ritrovata ad essere testimone oculare di situazioni di profonda povertà e disagio che mi hanno fatto riflettere e crescere.
Camilla Carioli

Un centro commerciale qui, in occidente, è ormai una cattedrale. Le famiglie aspettano la domenica per celebrare la liturgia settimanale del compra-compra. Anche in Libano ci sono di queste cattedrali, ne stiamo esportando ormai in ogni dove, ma quello che mi ha colpito di più è stato un campo profughi in un ex centro commerciale. Non ci sono più negozi, ma solo dormitori. Magari qualcuno ha la stanza che prima era di Gucci, di McDonald o chissà chi. Ora ci dormono dei siriani fuggiti dalla guerra e ripudiati da tutti. I bambini corrono dappertutto, inciampano tra i rifiuti e ripartono allegri. Ridono. È spiazzante, è un continuo contrasto di situazioni il Libano. Ecco, spiazzante, userei questa parola per riassumere questa mia bellissima esperienza.
Daniele Dari

Lettera incompiuta al ritorno dal Libano

Decolla l’aereo che ti porta a casa. Ti allontana dai giorni vissuti in maniera differente, con ritmi insoliti, guardando negli occhi volti dai lineamenti inusuali.

Differente per chi?

Insoliti per chi?

Inusuali per chi?

Nuovi sapori che in 12 giorni hanno finito per essere una lenta quotidianità.

Si solleva da terra un cuore che già si riempie di nostalgia e desiderio di poter, un giorno, fare ancora suo ciò che è stato in quei giorni appena trascorsi.

Il cuore sembra organizzato come una valigia: non vedi l’ora di aprirla una volta varcata la soglia di casa. Per prima cosa verranno alla luce le cose più belle, come i souvenir acquistati al mercato della città, i regali comprati per i propri cari. Oggetti grazie ai quali agganciarsi per condividere i pensieri maturati nei giorni passati.

Finite le cose belle, sollevi i vestiti non utilizzati e ti prepari a cercare la sporta dei panni sporchi, relegata nel posto più difficile da raggiungere, con la speranza che non sia andata ad avvelenare il resto della valigia. I panni sporchi sono da estrarre, esaminare, separare e decidere come trattarli in lavatrice (io butto tutto insieme perché sono pigro e non ho mai imparato i diversi programmi di lavaggio, il tutto mischiato alla poca cura dei miei vestiti). Coi panni sporchi ci devi avere a che fare, accompagnarli in tutti i passaggi fastidiosi prima di riporli, puliti, nell’armadio.

Nel cuore i panni sporchi prendono il nome di rabbia e frustrazione.

Restano addosso domande che non cercano facili risposte o banali semplificazioni di ciò che è stato visto.

Una tra tutte emerge in modo più fastidioso rispetto alle altre: mi riguarda tutto ciò?

Matteo Taroni