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Viaggio a Charre

Provo a rispondere al difficile compito di descrivere l’impatto dell’esperienza di volontariato a Charre attraverso i versi della canzone “L’ultimo spettacolo” di Roberto Vecchioni. Recita così: «Li vidi ad uno ad uno mentre aprivano la mano e mi mostravano la sorte come a dire “noi scegliamo!
Non c’è un dio che sia più forte” e l’ombra nera che passò ridendo ripeteva “no”». Mentre ascoltavo queste parole, sul treno di ritorno da Mutarara a Beira, pensavo ai bambini di Charre con cui avevo condiviso tre settimane. Ancora oggi, a distanza di tempo, ascoltando quelle parole, vorrei tornare tra loro, tra la criança di Charre.
Penso che questi versi siano la chiave per spiegare l’impatto di questo viaggio. Mi identifico pienamente con il primo verso della canzone: anch’io ho visto quei bambini aprirsi con fiducia.
Erano pieni di speranza e di desideri, seppur lucidi circa le loro condizioni di vita. Penso in particolare a Mingo, un bambino di dieci anni che il giorno prima che partissi mi ha preso per mano e si è alzato in punta di piedi per sussurrarmi all’orecchio: “Nenda nathu”, che in lingua sena significa “voglio venire con te”. Credetemi, queste parole non sono semplicemente il frutto di un legame affettivo, ma riflettono la lucida consapevolezza di una realtà diversa a cui tutti aspirano: l’Europa. Per molti di loro, però, destinati a trascorrere il resto della loro vita tra un tetto di paglia sorretto da mattoni di fango e un campo da coltivare, l’Europa rimarrà un sogno inaccessibile.
L’ombra che offusca i desideri di Mingo e di tutti gli altri è, come suggerisce Vecchioni, simile ad un’ombra nera che si staglia sulla loro vita. Non importa definirla in termini precipui, possiamo chiamarla destino, sorte, fortuna oppure caso. È importante, invece, capire che questa ombra nera condiziona le loro opportunità e aspirazioni sin dalla nascita, semplicemente perché sono nati in Mozambico e non altrove. Il nocciolo dell’insegnamento che ho portato a casa da questo viaggio sta in questo, e cioè nel fatto che a nessuno è data la facoltà di scegliere dove nascere, eppure il luogo di nascita influisce in modo significativo sulle condizioni e le aspettative di vita di ciascuno. E proprio perché si tratta di un evento arbitrario, sarebbe assurdo parlare di “colpa”. Nessuno ha “colpa” di nascere in Mozambico, così come nessuno “merita” di nascere in Europa. Però, bisogna riconoscere che chi ha la fortuna di nascere in Europa detiene un grande privilegio. Infatti, né io né Mingo abbiamo scelto dove nascere, eppure questa circostanza arbitraria determina drasticamente le nostre vite. Inoltre, penso che la consapevolezza di questo privilegio porta con sé una responsabilità importante. E proprio questa responsabilità, e non l’istinto colonizzatore degli occidentali descritto da Kipling, è il fardello che grava sugli uomini e le donne provenienti dai paesi più sviluppati.
Per concludere, il viaggio a Charre mi ha insegnato che la vera ricchezza sta nella condivisione e nell’aiuto reciproco, e che il privilegio comporta una responsabilità sociale verso coloro che, per un capriccio del destino, non godono delle stesse opportunità.

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Giuditta in Africa…

Mi chiamo Giuditta, ho 17 anni e da quando sono piccola desideravo andare in Africa. Mai potrò dimenticare i sorrisi, le carezze e la semplicità dei bambini che appena sono arrivata  dopo tante ore di macchina mi hanno accolta e hanno subito ripagato tutte le difficoltà e le fatiche del viaggio. A Charre ho avuto la possibilità di vivere nella totale diversità, in un mondo completamente differente e privo di qualsiasi distrazione. Stare a stretto contatto con la natura riporta l’uomo alla vera essenza del suo essere parte del creato. La comunità di Charre è stata per me simbolo di autenticità, in cui ho potuto apprezzare tutti quei valori che nel nostro paese sono offuscati dal benessere e dal consumismo come ad esempio la purezza dei bambini che si manifesta anche solo dal calore di una risata o dalla premura di una bimba con il fratellino portato sulla schiena. Ora che sono a casa mi rendo conto che in realtà tutto ciò che possiamo avere è poco in confronto a ciò che loro giorno per giorno coltivano nel loro cuore. I momenti che ho passato con le ragazze della mia età sono stati molto belli perché sono riuscite a superare la diversità mostrandosi immediatamente desiderose di vivere un amicizia con me. Il confronto con loro mi ha fatto riflettere molto sulla differenza con le mie amiche rispetto a desideri, passioni o aspirazioni. Mi sono portata a casa il desiderio dei bambini di ricevere un bicchier d’acqua e ogni volta che apro una bottiglia o mi lavo non riesco a non pensare a loro e alla loro acqua che non ha niente a che vedere con la nostra; prelevata tutti i giorni facendo una buca vicino al fiume. Mistura è il bambino di cui mai potrò dimenticare i lineamenti, i grandi occhi neri e quella vocina che tutti i giorni mi chiamava per salutarmi e darmi il buongiorno. È stata la dimostrazione d’affetto più spontanea, inaspettata e tenera che abbia mai avuto. Ringrazio dal profondo del mio cuore tutte le suore che ho incontrato che mi hanno accolta con entusiasmo e mi hanno permesso di vivere questa bellissima esperienza. La loro testimonianza di forza e coraggio nelle avversità e la tenacia con cui sono fedeli alla loro missione hanno forgiato il mio cuore e sono sicura che questo mi aiuterà nelle difficoltà che incontrerò nella vita. E infine cosa dire della mia compagna di viaggio sennonché madrina di battesimo? La sua vicinanza e la libertà che mi ha lasciato nel vivere questa esperienza mi ha dato molta sicurezza e fiducia in me stessa… un solo rammarico, avrei dovuto cominciare prima a fare esperienze di vita con lei… ma c’è ancora tempo!!!!!! Grazie



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Santarcangelo in Colombia

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Estate 2019 in Colombia

“Cosa ti è piaciuto della Colombia? La domanda mi è stata rivolta la prima volta da Hermana Sandra durante una passeggiata tra le strade trafficate di Cartago, quando ero giunto quasi alla fine della mia esperienza.

 La domanda non era affatto banale e scontata e la risposta lo era ancora meno, perché non era facile sintetizzare tutte gli episodi, le sensazioni ed emozioni vissute durante quei giorni che ancora non avevano una forma ben definita.

Dopo una breve riflessione la risposta è stata che oltre alla classica comida mi erano piaciute molto l’accoglienza e il calore delle persone che avevo incontrato: sin dal mio arrivo, infatti, ho riscontrato una gentilezza e una disponibilità a conoscersi che mi hanno fatto sentire davvero a mio agio.

Tutto era iniziato circa un anno fa, durante la fiera di san Martino che si tiene ogni anno a Santarcangelo di Romagna. Passeggiando, mi è apparsa una bancarella addobbata con i colori giallo rosso blu, dove un gruppo di ragazzi davano il loro prezioso contributo proponendo piatti tipici per raccogliere fondi per le missioni in Colombia. In quel momento  ho immaginato che avrei potuto realizzare il mio desiderio di fare un’esperienza missionaria visitando un paese che mi incuriosiva da tanto tempo, e così dopo essermi presentato è iniziato il mio percorso di avvicinamento alla missione.

Arrivato a Bogotà l’impatto è stato subito piuttosto forte, nonostante quella non fosse la mia prima volta in un paese del Sudamerica. Nel tragitto dall’aeroporto  all’hogar con suor Catia mi sono saltate subito agli occhi scene inconsuete per i nostri costumi, come  ad esempio vedere ragazzi che trainavano carretti carichi di materiali di recupero che, come mi è stato raccontato, è un’attività abbastanza comune in città: quella del riciclo. Ma anche  persone che dormivano nelle aiuole divisorie delle corsie stradali: si trattava per la maggior parte di venezuelani fuggiti dal loro paese in cerca di una vita migliore.

Un breve assaggio della capitale e sono ripartito. Dopo un viaggio in bus di 10 ore, dove per buona parte sono rimasto ad ammirare il bellissimo paesaggio che scorreva davanti ai miei occhi, sono arrivato al colegio di Cartago dove sono subito entrato in contatto con la realtà della scuola, gestita in modo impeccabile da Las Hermanas, e con i circa 400 bambini e ragazzi che si stavano disponendo in formazione  in palestra per la oración mattutina.

Sin dai primi momenti si sono instaurati subito bellissimi legami con Las Hermanas ,i ragazzi, gli insegnanti e tutto il personale. La loro curiosità per una persona arrivata da un paese tanto lontano, conosciuto per lo più per la pizza e le canzoni di Albano e Romina , era molto evidente. Lo era a partire dalle domande dei più piccoli su come si dice questa o quella parola in italiano, fino ai suggerimenti dei piu’ grandi che si prodigavano in semplici ma apprezzatissimi consigli di sopravvivenza urbana.  Durante la mia permanenza ho avuto la fortuna di poter approfondire queste amicizie, ascoltare le loro vicende, in alcuni casi difficili e dure da accettare.  Per alcuni bambini, poter tradurre dall’italiano una lettera giunta dai loro padrini o madrine ha rappresentato per me il dono piu’ grande che potessi offrire loro, in quanto ad ogni frase che leggevo potevo vedere i loro occhi sognanti che probabilmente si immaginavano come poteva essere il mondo da cui proveniva quel testo.   

Anche  le visite alle famiglie con Hermana Sandra, mi hanno permesso di  comprendere meglio la realtà locale: vedere i mercati, pieni di frutta tropicale per me strana ma deliziosa, le strade dei vari barrios in cui non manca mai la musica come una sorta di colonna sonora quotidiana, le case senza campanelli dove ancora si bussa solo per cortesia, visto che spesso la porta è già aperta, i motorini parcheggiati dietro il divano che mi stupiscono ogni volta. Le case sono semplici come le persone che le abitano e che in alcuni casi vivono difficoltà quotidiane con grande dignità e sempre pronte ad offrire un succo di frutta, un sorriso e una benedizione.

Questi gesti in apparenza semplici che tutte le persone  che ho incontrato mi hanno donato, sono quelli che mi hanno accompagnato durante l’esperienza e mi sono rimasti dentro anche dopo il mio rientro.

Marco di Santarcangelo

Ciao sono Maria e sono stata tutto il mese di settembre in Colombia precisamente a Villavicencio.

Le Suore mi hanno fatto sentire subito a “casa” appena sono atterrata prima a Bogotà dove sono stata una notte e poi a Villavicencio.

Sono stata tutto il mese immersa da grida, sorrisi, abbracci di tantissimi bambini che non mi mollavano neanche un secondo.

La realtà della Colombia è molto forte, non mi immaginavo di vedere tanta  povertà , io sempre abituata alla vita in Italia mi sono immersa in un mondo che mi sembrava tanto lontano ma in reatà così vicino a me.

Molte persone vivono davvero immerse nella povertà e nella sporcizia.

Passavo le mie giornate nel centro educativo dove tanti bambini e ragazzi studiano e svolgono varie attività di diverso tipo.

Il centro è aperto alla mattina e al pomeriggio e molti bambini Venezuelani immigrati in Colombia hanno la possibilità di pranzare lì e poi con un carro tutti i giorni vengono riportati nelle loro case.

Alcune mattine accompagnavo Suor Bernarda a trovare gli ammalati nelle loro case e lei offriva loro la comunione. È stato un servizio molto forte perchè vedevo realtà difficili, persone tanto malate immerse nella povertà delle loro case, ma era molto bello perchè appena entravo nelle loro case mi bastava sorridere e subito queste persone erano felici. Questo servizio mi ha dato tanta soddisfazione. Sono stata anche un giorno nell’ospedale, ho aiutato un ragazzo a mangiare e ho visto situazioni veramente difficili.

Provavo a volte anche tanta tristezza nel vedere certe persone , cose e situazioni ma cercavo di portare il mio sorriso e nel mio piccolo di fare del bene con un piccolo gesto o semplicemente un abbraccio che per me puó sembrare un gesto così banale, ma qua vale più di qualsiasi altra cosa.

Villavicencio è un Paese sorridente, c’è sempre festa , le persone ballano dall’alba al tramonto con musica a tutto volume, c’è tanta allegria.

Ho stampati nella mente davvero tanti sorrisi che mi porteró per sempre nel cuore.

Stando un mese là mi sono resa conto di quanto sia bello e importante occuparsi di un bambino in affido a distanza.

Perchè davvero con pochi soldi all’anno riusciamo a dare tanto bene facendo studiare ragazzi e bambini.

Io ho avuto la possibilità di andare a trovare la ragazza che assieme alla mia famiglia abbiamo in affido da molti anni. È stato davvero emozionante vederla tanto felice per averle dato la possibilità di studiare. Sono stata anche invitata a cena con loro e mi hanno dato alcuni regalini da portare a casa alla mia famiglia!

Sono andata a trovare anche un altro bambino che viveva in una casa che sembrava fatta con materiale di recupero. Qui ci abitano tanti bambini senza babbo. Erano felicissimi perchè da poco avevano un po’ di cemento per terra al posto della terra.

Questa missione mi ha fatto riflettere e tanto bene al cuore. Sicuramente tanti sguardi, tanti sorrisi, tanti abbracci mi accompagneranno per sempre.

Infine ringrazio le Suore che mi hanno fatto da seconda famiglia consigliandomi e standomi vicine in ogni situazione.

Maria di Cesena

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Partire per realizzare un sogno…

Partire per realizzare un sogno…tornare con ancor più desideri e progetti.

50 giorni: 15 a Bogotà e 35 a Villavicencio.

Due realtà distinte da climi, culture e condizioni economico-sociali differenti, accomunate dall’ineguagliabile volontà di sorridere.

Ciò che mi ha colpito maggiormente di questa esperienza sono stati proprio i sorrisi dei bambini che conservo stampati nel cuore ricordandoli con uno sguardo emozionato perchè esprimevano quanto divertirsi fra loro ed essere felici valesse molto più di piangersi addosso per le difficoltà.

Insegnano ad essere felici e ringraziare Dio per quello che accolgono e che gli è stato donato, senza recriminare quanto non abbiano potuto ricevere e sentirsi inferiori, meno meritevoli o sfortunati.

I bambini sono stati i miei più saggi maestri durante quest’avventura: hanno saputo spiegare la lezione della felicità più concreta e basilare, ovvero la vera felicità nelle piccole cose di cui sempre parliamo ma finchè non tocchiamo con mano situazioni particolari, non comprendiamo fino in fondo.

Nelle calorose comunità sono stata ospitata da allegre suore, sempre cordiali e disponibili, energiche e intraprendenti. I rapporti sinceri instaurati fin da subito hanno saputo far divertire e farmi entrare a fondo nelle più toste realtà della zona.

Le visite alle famiglie nelle loro case rimediate con terra, sassi ed instabili pareti, in condizioni precarie senza acqua, gas e luce e con l’incertezza di riuscire a mangiare almeno una volta al giorno mi ha rabbrividito ma, al contempo, mi ha arricchito ammirare nei loro occhi la gioia di riconoscere quanto avessero come sufficiente. In particolare ricordo la testimonianza di Valentina, una ragazzina di appena 14 anni che a casa sua ci raccontava di vivere con la sua famiglia: madre, fratelli minori, fratelli e sorelle maggiori, figli, mariti e compagne dei fratelli maggiori, in totale 10 persone che si appoggiavano su tre letti, la casa non aveva altro che quei tre letti; la casa non ha acqua, gas e luce, per ricorrere all’acqua è necessario percorrere qualche chilometro ovviamente a piedi, è a rischio allagamenti nelle stagioni di pioggia, ci si accontenta di un pasto al giorno cucinato su un piccolo fornello a gas e di pochi metri, nemmeno quadrati, per riunirsi tutti insieme, ma Valentina ci raccontava di essere completa perchè la sua famiglia riempie la sua vita ed è lì, presente, perciò non c’è motivo per pensare di non essere felice.

Non mi è mancato niente durante la mia permanenza, mi sentivo al posto giusto nel momento giusto. Sette settimane sono state anch’esse il numero idoneo, con meno giorni probabilmente non avrei assaporato nel profondo l’esperienza e più giorni avrebbero potuto affievolire il desiderio di portarmi a casa la volontà di ripetere l’avventura un futuro, magari in un altro paese, per non sentirmi mai arrivata continuando a servire nella gratitudine.

IL VIAGGIO

Tutto è ormai una corsa. Si vive senza piu’ fare attenzione alla vita. Siamo interessati solo al tempo che passa,a farlo passare, rimandando al poi quel che si vorrebbe davvero.Nella città in particolare la vita passa senza un solo momento di riflessione.Ormai nessuno ha piu’ tempo per nulla.Le scuse per non fermarsi a chiederci se questo correre ci fa piu’ felici sono migliaia e,se non ci sono,siamo bravissimi a inventarle ” T. T.

Ciao…Mi chiamo Gala, ho 27 anni e in questo momento ti chiederai cosa centra la frase citata sopra?! E’ una delle motivazioni che mi ha spinto a pensare e poi intraprendere questo tipo di viaggio.

Un viaggio,di cui non ne avevo piena consapevolezza ma una sola certezza,mi sarebbe servito per affrontare in modo diverso il futuro che mi attende.

Prima della mia partenza sono passati ore,giorni,mesi molto importanti di preparazione: ho pensato a questo cammino come un’esperienza di vita.

Avevo il desiderio e il bisogno di fare qualcosa di diverso.

La curiosita’ per quanto riguarda la Missione (una parola che conoscevo vagamente) era tanta: un altro modo di viaggiare, di vedere, di “toccare con mano”, di “abbassarsi” alla vita quotidiana di altre persone così LONTANE da noi.

Il mio percorso ha avuto una durata di quasi un anno e si è concluso il 10 agosto 2018 quando finalmente ho preso il volo per Bogotà destinazione all’Hogar dove c’erano 14 bambine che attendevano il mio arrivo…

Con loro ho vissuto il quotidiano: sveglia 04.30,colazione,preghiera, scuola,pranzo,compiti,cena e buenas noches ogni sera ore 20.30.

Ascolto,devozione,impegno,curiosità,aneddoti,tutto mi ha aiutato a conoscerle meglio a entrare nel loro mondo.

E poi quando il 2 settembre sono rientrata in Italia mi sono soffermata a pensare e…non credo ancora al viaggio che ho appena terminato…

Se “guardo” le immagini che attraversano la mia mente giorno dopo giorno non credo ancora a quello che ho vissuto,forse non ho ancora percepito e metabolizzato quello che ho trascorso in tre settimane.

In diversi si chiederanno cosa mi ha portato a fare questo tipo di viaggio per me particolare,alternativo e lontano dal mio modo di vivere;

Quello che posso rispondere è: perchè ne ho sentito la necessità,lo desideravo e sentivo che fosse una lezione di vita.

E’ stato bello conoscere le bambine,le suore(le quali mi hanno fatto sentire a “casa” dal momento che sono scesa dall’aereo).

E’ stato affascinante confrontarsi, chiaccherare, ridere,scherzare,guardare i film al sabato sera,giocare a basket con qualcuna di loro.

Ho conosciuto giovani coetanei con i quali mi sono divertita,ho conosciuto laici,ho conosciuto i genitori delle bambine.

E soprattutto è stato bello e mi ha arricchito conoscere Anna,una ragazza di Rocca,con la quale ho condiviso la maggior parte del mio tempo; sembrava ci fossimo sempre conosciute e dal primo momento è nata subito una bellissima intesa.

Oggi posso solo dire che solo immergendoti in prima persona,scoprendo cosa c’è in un mondo così tanto lontano dal nostro e semplicemente VIVENDOLO percepisci tante emozioni che ti riempiono il cuore.

Per concludere uso solo una parola GRAZIE,una parola semplice,ma che racchiude tanto di tutto quello che ho vissuto,”assaporato” , visto, sentito, percepito,toccato.

GRAZIE a chi mi è stato acconto,chi mi ha aiutato nel cammino di crescita,chi semplicemente ha condiviso insieme a me questo indimenticabile VIAGGIO.

                                                     Gala