9. Maria, prima missionaria del vangelo

Fratelli tutti – Capitolo ottavo: Le religioni al servizio della fraternità nel mondo (271-287)

Oggi nel brano di Vangelo che la liturgia ci propone incontriamo uno spirito impuro chiamato “legione”. Legione è un gruppo militare romano composto da 6000 soldati e 120 cavalieri. È una moltitudine. Quante voci risuonano in noi, spesso l’una in conflitto con l’altra. I nostri desideri, le nostre aspirazioni, i nostri doveri, quello che gli altri si aspettano, quello che dice la ragione, quello che dice il cuore … Gesù è venuto a fare unità. Fuori e dentro di noi. Solo con questa unità nel cuore e tra di noi possiamo essere veri annunciatori del Vangelo.

Come uomini e donne di fede abbiamo ricevuto un dono immenso di cui non potremo mai finire di ringraziare. La fede in Dio. Ma questo dono è una grande responsabilità. Come lo è stato il dono della creazione di fronte alla quale Adamo ed Eva sono stati posti. Come lo è stato la promessa fatta ad Abramo e poi rinnovata di generazione in generazione con tutti i suoi discendenti fino a noi. Come lo è stato per Mosè la chiamata a condurre il popolo verso la libertà dalla schiavitù dell’Egitto. Come lo è stato, per tutti i credenti il dono di Cristo che non cessa “ogni giorno di venire a noi in umili apparenze; e ogni giorno discende dal seno del Padre (Gv 1,18; 6,38) sull’altare nelle mani del sacerdote”. (S. Francesco d’Assisi, Ammonizione I, FF 141-145).

Nell’ultima parte dell’enciclica Papa Francesco, che come ha specificato nel corso della sua lettera, scrive a tutti gli uomini di buona volontà, si rivolge in particolare a tutti i credenti e ha come tema “Le religioni poste al servizio della fraternità nel mondo”.  E dunque fa appello in modo specifico a tutti i credenti in Dio.

La religione è stata definita nel secolo scorso “oppio dei popoli”. Abbiamo, da credenti, la profonda consapevolezza che la religione è la coscienza dei popoli.

Dobbiamo dire, con forza e con fede, che “non ci possono essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità, senza un’apertura al Padre di tutti […]. Soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi” (FT 272).

Come pure dobbiamo riconoscere che «tra le più importanti cause della crisi del mondo moderno vi siano una coscienza umana anestetizzata e l’allontanamento dai valori religiosi, nonché il predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti» (FT 275).

Non è possibile che quando si tratta di dibattere pubblicamente sull’uomo e sulle questioni che lo riguardano, soprattutto quelle che implicano domande profonde, questioni serie, intervengano solo “potenti e scienziati” come se una riflessione a partire dai valori religiosi che costituiscono la tradizione dell’umanità fin dal suo sorgere, fossero da considerare espressioni di oscurantismo o bigottismo. E non è neppure possibile pensare di “rinchiudere” la fede in un ambito strettamente personale. “La Chiesa […] non relega la propria missione all’ambito privato” (FT 276). La Chiesa, e tutti i cristiani, in quanto cristiani, ha un ruolo pubblico. Non nel senso che i ministri religiosi debbano fare politica partitica, ma nemmeno che debba rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza. La Chiesa ha un ruolo pubblico che non si esaurisce nelle sue attività di assistenza o di educazione ma che si adopera per la promozione dell’uomo e della fraternità universale, come già ci ricordava papa Benedetto (cfr FT 276).

“Il culto a Dio, sincero e umile” è una ricchezza per l’umanità. Costruisce rapporti, crea fraternità, promuove l’attenzione agli ultimi e quindi costruisce una società più degna e civile, più rispettosa, più sana.

Purtroppo i fanatismi religiosi hanno portato molti a ritenere la religiosità un pericolo per la civiltà. In realtà si tratta di pensieri religiosi deviati, di una religione strumentalizzata perché “Il culto a Dio, sincero e umile, porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti” (FT 283).

Di questa dimensione della vita, di questo sguardo sull’esistenza siamo debitori al mondo. Gli uomini e le donne del nostro tempo hanno bisogno “della musica del Vangelo” e se “la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna” (FT 276).

E alla fine di questa enciclica Papa Francesco ripropone l’appello alla pace, alla giustizia e alla fraternità sottoscritto ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 insieme al Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Un impegno solenne che dovrebbe accompagnarci ogni giorno: “Dichiariamo di adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio” (FT 285). In questo consiste quell’artigianato della pace di cui ci ha parlato nel capitolo precedente Papa Francesco: unire e non dividere, estinguere l’odio e non conservarlo, aprire vie di dialogo e non innalzare nuovi muri.

Siamo invitati, come Maria, la Madre di Gesù, ad “essere una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità […] per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione” (FT 276).

Maria è nostra Madre in questo cammino di fraternità. “Ella ha ricevuto sotto la Croce questa maternità universale (cfr Gv 19,26) e la sua attenzione è rivolta non solo a Gesù ma anche al «resto della sua discendenza» (Ap 12,17). Con la potenza del Risorto, vuole partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato delle nostre società, dove risplendano la giustizia e la pace”. (FT 278).

Allora invochiamo insieme: Maria, prima missionaria del Vangelo, prega per noi.