8. Maria, donna della riconciliazione e del perdono
Fratelli tutti – Capitolo settimo: Percorsi di un nuovo incontro (225-270)
Stiamo ormai avviandoci alla conclusione del nostro viaggio. In questa novena abbiamo cercato di cogliere le sollecitazioni di Papa Francesco a sognare, ad aspirare ad una umanità capace di fraternità. Non solo: siamo stati invitati a fare piccoli ma decisivi passi verso la costruzione di un mondo fraterno, dove ogni uomo e donna, riconosciuti nella loro dignità, possano chiamarsi ed essere veramente fratelli. Si tratta di pensare insieme e cominciare a realizzare un nuovo modo di vivere, veramente e finalmente umano.
Oggi il brano del vangelo ci ha fatto incontrare un uomo liberato, riconsegnato alla sua dignità. Nel luogo dove risuona la Parola, quest’uomo era abitato da altro. Era un uomo che aveva bisogno di essere liberato e l’incontro con Gesù porta questa liberazione, anche se non si tratta di un passaggio indolore. Papa Francesco, in questo penultimo capitolo, che ha per titolo “Percorsi di un nuovo incontro” ci invita a percorrere sentieri di liberazione profonda, ci consegna il compito di essere “artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia” (FT 225).
Certo c’è un livello istituzionale che coinvolge gli stati, le nazioni, che Papa Francesco definisce “una ‘architettura’ della pace, nella quale intervengono le varie istituzioni della società, ciascuna secondo la propria competenza, però c’è anche un ‘artigianato’ della pace che ci coinvolge tutti” (FT 231). Le logiche che sottostanno agli uni e agli altri processi, quelli istituzionali, come quelli personali, sono in fondo le stesse. I percorsi sono assimilabili.
Quello che dovrebbero fare i governi non è tanto diverso da quello che si fa o si dovrebbe fare in una famiglia. Lì “se uno ha una difficoltà, anche grave, anche quando ‘se l’è cercata’, gli altri vengono in suo aiuto, lo sostengono; il suo dolore è di tutti. […] Nelle famiglie, tutti contribuiscono al progetto comune, tutti lavorano per il bene comune, ma senza annullare l’individuo; al contrario, lo sostengono, lo promuovono. Litigano, ma c’è qualcosa che non si smuove: quel legame familiare. I litigi di famiglia dopo sono riconciliazioni. Le gioie e i dolori di ciascuno sono fatti propri da tutti. Questo sì è essere famiglia! Se potessimo riuscire a vedere l’avversario politico o il vicino di casa con gli stessi occhi con cui vediamo i bambini, le mogli, i mariti, i padri e le madri. Che bello sarebbe! Amiamo la nostra società, o rimane qualcosa di lontano, qualcosa di anonimo, che non ci coinvolge, non ci tocca, non ci impegna?” (FT 230).
Questi percorsi implicano di fare i conti con tre parole: verità, giustizia e misericordia
Perché si fanno le guerre? Quelle “macro” e quelle “micro”? Perché sorgono i conflitti? Perché più facilmente chiusure, odi, rancori, risentimenti, dominano le relazioni tra le persone, piuttosto che dialogo, aiuto reciproco, incontro, rispetto? Questa è la nostra esperienza. Dobbiamo semplicemente dire: è sempre stato così e sempre sarà così? Da che mondo è mondo il più forte prevale e il più debole soccombe? Sottolinea Papa Francesco: “Alcuni […] ritengono che il conflitto, la violenza e le fratture fanno parte del funzionamento normale di una società. Di fatto, in qualunque gruppo umano ci sono lotte di potere più o meno sottili tra vari settori”. (FT 236)
Fare verità vuol dire opporsi a questa mentalità e riconoscere le responsabilità del male. Occorre ricominciare dalla verità. Quando ci sono state delle ferite, dei conflitti, “nuovo incontro non significa tornare a un momento precedente ai conflitti. Col tempo tutti siamo cambiati. Il dolore e le contrapposizioni ci hanno trasformato” (FT 226). Occorre fare verità. Se io ho ferito devo dire: “E’ colpa mia. Scusa”. Chi ha sofferto ha il diritto di sapere il perché, ha il diritto che venga detta la verità, che venga fatta verità. E chi è responsabile venga riconosciuto come tale e venga applicata una giustizia “giusta”, che impedisca a chi ha leso diritti di continuare a farlo e risarcisca le vittime nel giusto e proporzionato modo. Il mancato riconoscimento dei colpevoli uccide le vittime due volte.
Le ferite non rimarginate, i conflitti non risanati impediscono la pace e degenerano spesso nel dramma delle guerre che da sempre lacerano l’umanità e che sono in corso anche oggi, in quella forma così strisciante definita proprio da Papa Francesco già nel 2014, in occasione del centenario dell’inizio della prima guerra mondiale, e qui ripresa, una “guerra mondiale a pezzi” (FT 259).
“Nel nostro mondo ormai non ci sono solo “pezzi” di guerra in un Paese o nell’altro, ma si vive una “guerra mondiale a pezzi”, perché le sorti dei Paesi sono tra loro fortemente connesse nello scenario mondiale”. (n. 259). La guerra, a tutti i livelli, non è mai una soluzione. La guerra è sempre una sconfitta per tutti per il carico di distruzione e di morte che portano con se.
La soluzione ai conflitti non sono le guerre, sono i processi di pace. “Il processo di pace […] è un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta” (FT 226). L’alternativa a questi processi sono l’odio e il risentimento che si radicano e incancreniscono.
E il perdono? E la misericordia? Sappiamo bene che questo è il nostro punto di arrivo. Il vangelo ci chiede di perdonare “fino a settanta volte sette” e Gesù “ha condannato apertamente l’uso della forza per imporsi agli altri” (FT 238). Ma perdonare non è dimenticare. È ricordare, amare e andare avanti. Il cristiano non è uno che fugge i conflitti, che fa finta che non sia successo nulla ma è uno che sa stare davanti alla conflittualità della storia, la propria come quella dei popoli, senza fomentare odio e vendetta. Il perdono non è resa al male come consolazione di chi è debole. È rifiuto dell’odio e della vendetta in nome dell’amore.
Quello della pace è un processo che deve portare sì alla riconciliazione, ma quella vera, quella cioè che “non rifugge dal conflitto, bensì si ottiene nel conflitto, superandolo attraverso il dialogo e la trattativa trasparente, sincera e paziente” (FT 244).
“Se un delinquente ha fatto del male a me o a uno dei miei cari, nulla mi vieta di esigere giustizia e di adoperarmi affinché quella persona – o qualunque altra – non mi danneggi di nuovo né faccia lo stesso contro altri. Mi spetta farlo, e il perdono non solo non annulla questa necessità bensì la richiede. Ciò che conta è non farlo per alimentare un’ira che fa male all’anima della persona e all’anima del nostro popolo, o per un bisogno malsano di distruggere l’altro scatenando una trafila di vendette. Nessuno raggiunge la pace interiore né si riconcilia con la vita in questa maniera. La verità è che «nessuna famiglia, nessun gruppo di vicini, nessuna etnia e tanto meno un Paese ha futuro, se il motore che li unisce, li raduna e copre le differenze è la vendetta e l’odio. Non possiamo metterci d’accordo e unirci per vendicarci, per fare a chi è stato violento la stessa cosa che lui ha fatto a noi, per pianificare occasioni di ritorsione sotto forme apparentemente legali». Così non si guadagna nulla e alla lunga si perde tutto.” (FT 241-242).
E ognuno di noi porta una propria guerra nel cuore. Di lì bisogna cominciare per portare la pace.
“Occorre riconoscere nella propria vita che quel giudizio duro che porto nel cuore contro mio fratello o mia sorella, quella ferita non curata, quel male non perdonato, quel rancore che mi farà solo male, è un pezzetto di guerra che porto dentro, è un focolaio nel cuore, da spegnere perché non divampi in un incendio” (FT 243).
Il perdono richiede una grande maturità, umana e cristiana. Noi dovremmo essere esperti di perdono, prima ricevuto e poi donato. Il fare verità in noi, l’assumerci la nostra responsabilità, il fare giustizia, il non fomentare odio e vendetta, il chiedere scusa sono i passi in fondo della confessione sacramentale, di quella misericordia che il Signore usa nei nostri confronti e che è capace, con il dono del perdono, di farci rinascere ogni volta dalla morte del peccato alla vita nuova in Cristo. Di questo perdono noi siamo debitori verso i nostri fratelli.
Gesù oggi nella sinagoga non scaccia l’uomo. Distingue l’uomo dal male che lo abita. In tutto il vangelo, Gesù denuncia il male ma salva l’uomo, libera l’uomo, accoglie l’uomo, ama l’uomo. Ridona all’uomo la sua dignità, che non va mai dimenticata. Prima del giudizio, della condanna, della pena, della difesa, c’è un uomo con la sua dignità perduta. Questo è scegliere la pace, accogliere l’invito ad essere “artigiani di pace”.
Oggi invochiamo Maria, donna del perdono. Il vangelo non ci consegna nessuna parola violenta di Maria, mai. Ma Maria prende posizione. Sta con il Figlio e sta con la comunità dei discepoli. Sta davanti al male, nel conflitto. Sta, come stette presso la croce del Figlio, perché non si spenga il fuoco dell’amore. Invochiamo per sua intercessione, da Dio, il dono della pace. Facciamolo con le parole stesse di papa Francesco:
“Chiedo a Dio «di preparare i nostri cuori all’incontro con i fratelli al di là delle differenze di idee, lingua, cultura, religione; di ungere tutto il nostro essere con l’olio della sua misericordia che guarisce le ferite degli errori, delle incomprensioni, delle controversie; la grazia di inviarci con umiltà e mitezza nei sentieri impegnativi ma fecondi della ricerca della pace»” (FT 254)
E invochiamo insieme: Maria, donna della riconciliazione e del perdono, prega per noi.