6. Maria, madre dei credenti

Fratelli tutti – Capitolo quinto – : La migliore politica (154-197)

Quella del granello di senape è per me una delle immagini più commoventi della Sacra Scrittura. Mi commuove la piccolezza di questo seme che contiene in sé tutta la forza vitale che lo fa germogliare e crescere, una forza in grado di dare riparo a tutte le nazioni della terra (è questa l’immagine paradossale che il brano propone a chi ascolta).

Tante volte rischiamo di essere tentati di pensare che quello che facciamo non serve a molto, soprattutto di fronte agli scenari mondiali: cosa posso fare io per i problemi della fame nel mondo, delle carestie, delle catastrofi, della pandemia … delle ingiustizie…? Nelle mie azioni c’è la forza, la potenza, la grazia capace di generare vita, di generare processi che davvero cambiano il mondo.

Ma, certamente, come ricordavamo ieri, in questo mondo globalizzato e interconnesso, occorrono legislazioni globali, accordi tra i paesi, occorre allargare i confini del cuore e … degli stati. Così concludeva il capitolo che abbiamo considerato ieri: “Oggi nessuno Stato nazionale isolato è in grado di assicurare il bene comune della propria popolazione” (FT 153).

Che cosa occorre? “Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso” (FT 154).

Due aggettivi forti usa il papa: “migliore” politica e “vero” bene comune. Non dice, in prima battuta, “buona” politica quasi a dire che il pensiero di una “cattiva” politica non dovrebbe neanche essere preso in considerazione. Il politico è, per definizione, colui che si occupa del bene comune (Aristotele ne ha dato la prima formulazione: è la amministrazione della “polis” per il bene di tutti) cioè viene incaricato di occuparsi del bene della collettività. Il cattivo politico semplicemente non è un politico: è un truffatore, è un arrivista, è un opportunista … Poi si possono avere idee diverse su come occuparsi del bene comune, su quali priorità bisogni avere, su quali vie siano le più opportune.

Ed ecco allora il secondo aggettivo: la politica deve essere al servizio del “vero” bene comune. C’è un “falso” bene comune? Si. è quello che accetta che ci siano degli “scarti”. È quello che ci fa credere che non si possa stare bene tutti, vivere dignitosamente tutti, vedere rispettati i diritti di tutti. “Mors tua, vita mea” recita un antico adagio di origine medioevale al quale ci siamo tragicamente abituati. Il progresso ha le sue vittime. Non importa chi siano. L’importante è andare avanti.

Il vero bene comune è quello che si ricerca nella realizzazione di “un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sé i più deboli e rispetti le diverse culture” (FT 155).

Il falso bene comune è quello che si nasconde dietro formule populistiche cioè modi di dire e di comportarsi che “accarezzano” le richieste della gente, fomentano malcontenti, accontentano con zuccherini come si fa con i cavalli perché siano docili, ma intanto ledono i diritti per esempio dei più deboli, di quelli che non hanno voce in capitolo (nel capitolo precedente il Papa aveva messo l’accento sui disabili e sugli anziani per esempio, oltre che sugli immigrati).

Sono questi atteggiamenti “politici” che ci hanno fatto perdere la stima nella politica. “Per molti la politica oggi è una brutta parola, e non si può ignorare che dietro questo fatto ci sono spesso degli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici. […] E tuttavia, può funzionare il mondo senza politica? Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica?” (FT 176).

La buona politica è quella che si esprime come “carità politica” cioè la carità proposta come programma politico per eccellenza. La carità, proprio quella evangelica, quella che Gesù ci ha consegnato nel suo unico comandamento: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (cfr Mt 22,36-40). La carità non è un fatto individualistico e privato. Quello è “sentimentalismo”, ma non fede. “L’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore” (FT 181).

Papa Francesco ce lo fa capire con un esempio semplicissimo: “È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica” (FT 186).

Leggendo queste parole forse pensiamo: sarebbe così semplice e conseguente alla nostra fede. “Sarebbe …”. Sappiamo che non lo è. Non lo è personalmente, fare gesti di carità. Non lo è politicamente. Ci vogliono generosità e coraggio (Cfr FT 174), bisogna riconoscere che abbiamo bisogno di cambiare il nostro cuore, le nostre abitudini, i nostri stili di vita (cfr FT 166). In una parola, che a noi cristiani dovrebbe essere molto famigliare, dobbiamo dire che abbiamo bisogno di conversione perché c’è in noi “una tendenza costante all’egoismo” (FT 166) che in linguaggio cristiano si chiama “concupiscenza”, che “è l’inclinazione dell’essere umano a chiudersi nell’immanenza del proprio io, del proprio gruppo, dei propri interessi meschini” (FT 166). Ci riguarda tutti. E non è una invenzione dei tempi moderni. Si presenta in forme diverse … ma è sempre la stessa cosa. “Però è possibile dominarla con l’aiuto di Dio” (FT 166). Bisogna educarsi: abitudini solidali, capacità di pensare la vita umana più integralmente, la profondità spirituale … questo ci serve per dare spessore e profondità ai rapporti umani per arrivare ad un sentire comune che sappiamo orientare tutti al bene.

Dobbiamo aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci nella lotta contro tutti i flagelli che affliggono l’umanità. (Cfr FT 188):

Dobbiamo avere cura che nella politica, come nella nostra vita, non si spenga la tenerezza, che “è l’amore che si fa vicino e concreto” (FT 194). E “non sempre si tratta di ottenere grandi risultati, che a volte non sono possibili […]. Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio” (FT 195).

Noi siamo popolo fedele di Dio. Siamo Chiesa, “segno e strumento dell’amore di Dio”, abbiamo pregato nella colletta iniziale. Chiediamoci, accogliendo l’invito di Papa Francesco, e facendo memoria della nostra vita: “Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?” (FT 197).

E affidiamoci a Maria, immagine e madre della Chiesa. Lei non ha fatto politica, ma si è occupata del vero “bene comune” per eccellenza, di Gesù. Lo ha accolto e lo ha consegnato. Ha fatto della sua vita uno spazio di incontro tra l’uomo e Dio. Con umiltà, con sacrificio, con disponibilità totale, senza cercare nessuna visibilità.

Oggi la invochiamo: Maria, madre dei credenti prega per noi.