5. Maria, donna dell’ascolto

Fratelli tutti – Capitolo quarto – Un cuore aperto al mondo intero (128-153)

 “Come essere umani siamo tutti fratelli e sorelle”. Se questa affermazione “non è solo un’astrazione ma prende carne e diventa concreta, ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte” (FT 128).  In questo quarto capitolo, che porta il titolo “Un cuore aperto al mondo intero”, papa Francesco affronta un tema complesso, che certamente egli non pretende di risolvere in poche pagine, con il suo documento. Ma intende porre delle questioni molto serie sulle quali riflettere, alla luce di tutto quanto sottolineato nei numeri precedenti. “Farsi prossimo”, lo abbiamo capito, è quello che ci chiede il Vangelo. E noi vogliamo viverlo, cerchiamo di viverlo altrimenti non saremmo qui.

“Quando il prossimo è una persona migrante si aggiungono sfide complesse” (FT 129). È bello che papa Francesco parli di “sfida” e non di “problema” riguardo ai migranti.

Sappiamo bene che la cosa più desiderabile per ogni persona sarebbe che nessuno fosse costretto a lasciare la propria terra. Ognuno dovrebbe poter vivere e crescere dignitosamente, ma anche di più, realizzare le sue aspirazioni, i suoi sogni, nel proprio paese di origine. Perché c’è anche il diritto di desiderare non solo di sopravvivere, non solo di soddisfare i propri bisogni primari, ma anche i propri sogni, le proprie più alte aspirazioni. E questo, in un mondo “globalizzato”, “evoluto”, “sviluppato” dovrebbe poter voler dire realizzare questo anche in altri paesi rispetto ai quali si è nati, in altre culture, attingendo a quella ricchezza di cui ogni popolo, nazione, civiltà è portatore. Credo che a nessuno di noi sia mai stato negato il permesso di andare da qualche parte, anche solo per turismo, per trovare qualcuno, per visitare qualcosa di questo nostro meraviglioso mondo. O di trovare accoglienza se ci volessimo trasferire da qualche parte. Pensiamo che sia un nostro diritto farlo e farlo venendo rispettati. Perché pensiamo questo? Perché sappiamo di non avere cattive intenzioni … perché sappiamo di poter pagare il nostro soggiorno …. Si presentano nella vita situazioni molto difficili. Lasciare la propria terra non è piacevole per nessuno. Farlo perché si è costretti o perché si desidera aspirazioni e sogni è legittimo e deve potersi fare.

E papa Francesco riprende e sintetizza quattro verbi per delineare l’azione verso  i migranti da parte di paesi che si fregiano del titolo di “democratici” e “civili”: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

Ognuno di essi è denso di significato, implica tutta una serie di azioni. Ma al fondo di tutti sta l’affermazione, ancora una volta, della inalienabile dignità di ogni essere umano. Da promuovere. Da riconoscere.

È chiaro altresì che tutto questo non lo può fare il singolo e basta, una città e basta, un comune e basta, neppure uno stato e basta. Questo ci mobilità a livello di comunità internazionale. Ci vuole una “legislazione globale per le migrazioni” (FT 132). Capiamo bene che tutto questo sfugge alle nostre competenze … e capacità. Capiamo però anche che è necessario seguire questa via. Non possiamo pensare di regolamentare a livello internazionale solo lo scambio delle merci. E i movimenti delle persone? Quanta maggiore attenzione. Quanta maggiore responsabilità. Perché lì c’è in gioco la dignità degli esseri umani e con essa, la cifra della nostra civiltà. Li c’è il distinguo tra una società civile, degna di questo nome, e una incivile.

E noi come ci entriamo in tutto questo?

Noi dobbiamo sentirci interpellare molto seriamente. Innanzitutto dalla Parola di Dio. Ci ricorda l’autore della lettera agli ebrei: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13,2).  Ed accogliere il forestiero è una delle opere di misericordia: “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35).

Noi possiamo cominciare a cambiare il nostro sguardo. L’altro, soprattutto se è diverso .. per colore della pelle, per paese di provenienza, per credo religioso, non è un pericolo, non è un problema, non è uno da guardare con diffidenza … ma è un dono. Nell’incontro con l’altro c’è un arricchimento reciproco e vicendevole che può avvenire nel dialogo, nell’apertura, nella disponibilità che lascia da parte l’arroganza di credersi migliori, più evoluti, meno primitivi, più rispettosi delle leggi.

Quello che succede dall’altra parte del mondo, ci riguarda. Noi ci siamo troppo abituati a vedere la realtà attraverso la televisione. Certo, ci informa molto, i social ci danno possibilità inimmaginabili: sono fonte di informazione, quando viene fatto seriamente; ci permettono quasi il dono dell’ubiquità o comunque sono possibilità di accesso alla conoscenza e la conoscenza allarga gli spazi della partecipazione libera e della democrazia. Nei paesi dove sono in vigore forme di dittatura, la prima cosa che viene “controllata” o “censurata” è la libertà di stampa, sono i canali di informazione. Ma in tutto questo c’è anche un grande pericolo di alienazione della realtà. Tutto rischia di rimanere di là dallo schermo e noi pensiamo sempre di più: speriamo che resti lì. Facciamo in modo che resti lì. Ma non resta lì. Siamo tutti “interconnessi”, collegati. “Abbiamo bisogno di fare crescere la consapevolezza che oggi o ci salviamo tutti o non ci salviamo nessuno” (FT 137).

E abbiamo bisogno ancora di credere nella gratuità. Due giorni fa una persona mi ha detto: “Sto sperimentando che è vero quello che voi mi dite sempre: ci sono ancora persone buone”. Ci sono persone che fanno il bene senza aspettarsi niente in cambio, solo perché è bene fare il bene.

E infine, un ultimo aspetto. Papa Francesco ci consegna una piccola regola di vita, che poi tanto piccola non è: “Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia” (FT 146). Si ama il proprio paese, la propria famiglia, la via dove si abita, il proprio condominio, la propria cerchia familiare, senza smettere “di lasciarsi interpellare da ciò che succede altrove, di lasciarsi arricchire da altre culture e solidarizzare con i drammi degli altri popoli” (FT 146). Ci vuole “un rapporto sano tra l’amore alla patria e la partecipazione cordiale all’umanità intera” (FT 149). Per fare questo occorre mettersi in ascolto dell’altro. Quando cominci a chiedere il nome al fratello che ti chiede una moneta, da dove viene, qual è la sua storia, se hai il coraggio, nell’amore, di sederti con lui a tavola o, come direbbe il Vangelo, di camminare con lui, allora quell’uomo per te si trasforma. Addirittura l’avversario diventa familiare. Non è più il povero o il “neretto” o l’extracomunitario, o colui di cui diffidare, ma ha un volto, un nome, una famiglia, una storia; comincia ad acquisire una dignità.

Ha scritto un filosofo statunitense: “Se gli uomini si conoscessero veramente fra loro non adorerebbero e non odierebbero”. (Elbert Hubbert)

È così sempre. L’uomo ha due orecchie e una bocca perché dovrebbe ascoltare il doppio di quanto parla, dicevano i filosofi greci. Ecco perché oggi vogliamo invocare Maria con il titolo di donna dell’Ascolto. Maria è il modello di chi accoglie la Parola di Dio e la mette in pratica. Sono poche le parole che abbiamo udito uscire dalle labbra di Maria. Maria ha accolto e fatto la volontà di Dio. Chiediamo anche noi al Signore per sua intercessione di aprire il nostro cuore alla beatitudine dell’ascolto, perché la nostra vita diventi luogo accogliente per ogni sorella e fratello che il Signore pone sulla nostra strada.

Maria, donna dell’ascolto, prega per noi.