3. Maria, donna della prossimità

Fratelli tutti – Capitolo secondo – Un estraneo sulla strada (56-86)

L’enciclica di Papa Francesco è stata definita da alcuni, un’enciclica poco teologica (Luca Marcolivio). Non si parla troppo di Dio. Certamente non è una enciclica che tratta della Trinità … o di Gesù Cristo … o del Padre …. È una enciclica sociale, che si inserisce nel magistero sociale della Chiesa (quasi un compendio). Ma cosa vuol dire? Vuol dire che parla della carità declinata nelle relazioni tra persone, tra istituzioni, tra popoli e nazioni e questo tema è proposto a partire dall’uomo. Quell’uomo che, come ci ha ricordato San Giovanni Paolo II, “è la prima e fondamentale via della Chiesa” (Lett. Enc. Redemptor Hominis, 14); quell’uomo le cui gioie e speranze, tristezze e angosce “sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS 1) ci ricorda il Concilio Vaticano II citato da Francesco (FT 56).

È una enciclica che parla all’uomo, ad ogni uomo di buona volontà, e parla dell’uomo e parlando dell’uomo, parla di Dio. Ed ecco allora che al centro (non al centro del testo perché siamo ancora all’inizio, ma idealmente ne costituisce il cuore pulsante) un intero capitolo è dedicato ad una vicenda che riguarda l’uomo, l’uomo ferito e che è una delle più meravigliose pagine evangeliche contenute nel Vangelo di Luca. Si tratta del secondo capitolo interamente dedicato alla notissima parabola che noi abbiamo intitolato: del buon samaritano (Lc 10, 25-37). In realtà questo titolo nel testo del vangelo non c’è. Siamo noi che, leggendo questa parabola, dopo aver ascoltato quanto un samaritano ha fatto nei confronti di un uomo incappato nei briganti e lasciato come morto sul ciglio della strada, diciamo di lui, e siamo tutti d’accordo: è il buon samaritano.

Papa Francesco introduce questo capitolo con queste parole: “Nell’intento di cercare una luce in mezzo a ciò che stiamo vivendo, e prima di impostare alcune linee di azione, intendo dedicare un capitolo a una parabola narrata da Gesù duemila anni fa. Infatti, benché questa Lettera sia rivolta a tutte le persone di buona volontà, al di là delle loro convinzioni religiose, la parabola si esprime in modo tale che chiunque di noi può lasciarsene interpellare” (FT 56).

 Mette dunque al centro di questa enciclica quest’uomo che poi riprenderà anche nel capitolo terzo. Però coglie un’altra caratteristica di questo samaritano e lo esprime nel titolo che sceglie per questo secondo capitolo: un estraneo sulla strada. “Era semplicemente un estraneo, senza un proprio posto nella società” (n. 101). Perché Papa Francesco sottolinea questa caratteristica, accanto certo alla bontà, alla generosità, alla disponibilità, all’attenzione manifestati da questo uomo? Perché è proprio questa sua condizione che lo rende prossimo dell’uomo ferito, che lo rende capace di vedere e non passare oltre, come invece fanno sacerdote e levita. È libero dai condizionamenti dei ruoli, da una appartenenza che può rendere schiavi quando diventa esclusiva invece che inclusiva, è libero di lasciare i propri programmi, di ridefinire i suoi tempi e le sue priorità per fare spazio al fratello ferito.

E accanto al samaritano, quasi a costituirne un’unica realtà, sta quell’uomo ferito, lasciato ai margini, quel “nessuno” che “non apparteneva a un gruppo degno di considerazione, non aveva alcun ruolo nella costruzione della storia” (n. 101). Il samaritano è proposto come modello del prendersi cura e l’uomo ferito è l’emblema dell’uomo di oggi, col quale ciascuno può identificarsi. Miseria e grandezza dell’umanità. Miseria perché sono tanti gli uomini buttati al ciglio della strada. Rischiamo tutti di essere o briganti o indifferenti … se c’è un uomo ferito e dimenticato significa che dall’altra parte c’è qualcuno che ha ferito (i briganti) e qualcuno che ha fatto finta di non vedere, che è passato a distanza. C’è una unica via di uscita “per riscostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano”. (FT 67). E questa è la grandezza della nostra umanità: siamo capaci di amare, di un amore capace di ridare vita, di prendersi cura, di scendere da cavallo per far posto all’altro, di portare alla locanda, di perdere tempo per il bene, di suscitare collaborazione … siamo capaci di ridare vita. C’è molto di buono nell’umanità. C’è soprattutto il bene nell’umanità. Gesù “ha fiducia nella parte migliore dello Spirito umano e con la parabola la incoraggia affinché aderisca all’amore, recuperi il sofferente e costruisca una società degna di questo nome” (FT 71).

“Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga “ai margini della vita”. Questo ci deve indignare, fino a farci scendere dalla nostra serenità per sconvolgerci con la sofferenza umana. Questa è dignità”. (FT 68).

Una domanda ci viene consegnata allora, che prendiamo proprio come punto di riflessione, di esame di coscienza, di preghiera per oggi: “Con chi ti identifichi? […] A quale di loro assomigli? […] Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. […] Ci siamo abituati a girare lo sguardo” (FT 64).

E per noi, che siamo qui, ad invocare Maria, che preghiamo e crediamo in Dio, il racconto della parabola è particolarmente provocatorio. Infatti le due persone che vengono descritte nel testo che “passano altre ….” sono “persone religiose. Di più, si dedicavano a dare culto a Dio: un sacerdote e un levita. Questo è degno di speciale nota: indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace” (FT 74). Tutti rischiamo di portare in noi “l’intima presunzione di essere migliori di quelli che non …. Mentre “il paradosso è che, a volte, coloro che dicono di non credere possono vivere la volontà di Dio meglio dei credenti” (FT 74).

“Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. […] Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti” (FT 77). Certo che non mancano le difficoltà. Ma papa Francesco ci ricorda che “le difficoltà che sembrano enormi sono l’opportunità per crescere” (FT 78). A patto che non lo facciamo da soli, individualmente.

Allora ci rivolgiamo a Maria che invochiamo con il titolo di donna della prossimità o del farsi prossimo. Lei ha vissuto il farsi prossimo di Dio nella sua povera vita. E ha proclamato: “L’anima mia magnifica il Signore perché ha guardato l’umiltà (che si può tradurre anche ‘piccolezza’ nel senso di misero, tribolato) della sua serva” (Lc 1,48). Lei non si è girata dall’altra parte, all’annuncio dell’angelo. Non lo ha fatto quando a Cana è mancato il vino. Non lo ha fatto davanti al Figlio che dava la sua vita per noi, sulla croce. Ci insegni a lasciare che la sofferenza dei fratelli ci tocchi, ci indigni, ci muova a gesti di cura.

Maria, donna della prossimità, prega per noi