2. Maria, madre dolce e premurosa di tutti i bisognosi

Fratelli tutti – Capitolo primo – Le ombre di un mondo chiuso (nn 9-55)

Il vangelo che oggi abbiamo ascoltato nella liturgia (Mc 16,15-18) ci dice che c’è una lingua nuova che i discepoli sono invitati a portare al mondo. Non si tratta di una soluzione magica di tutti i problemi del mondo. Non è in questa direzione che vanno letti i “segni che accompagneranno quelli che credono”. Si tratta di una nuova logica nelle relazioni, dove a prevalere non sono le divisioni (demoni), parole che dividono, veleni che uccidono. Ma gesti di riconciliazione, di perdono, di guarigione.

Quello di una fratellanza universale, di una fraternità che abbracci il mondo intero, di una amicizia sociale che caratterizzi le relazioni tra gli uomini di ogni credo, di ogni fede, di ogni latitudine e longitudine nel mondo, che abbatta i confini è, lo dobbiamo dire, un sogno. Ne è molto consapevole papa Francesco che chiaramente lo afferma: “Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli della stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!”. (FT 8).

Lo scopo di queste riflessioni che il Papa ci offre è quello di “far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità, riconoscendo la dignità di ogni persona umana” (Cfr FT 8).

Fra tutti … chi? Tutti noi, tutti gli uomini che vivono oggi questo tempo e in questo tempo. Un tempo, una realtà che Papa Francesco descrive, ponendo “attenzione ad alcune tendenze del mondo attuale che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale” (FT 9).

Prima di indicare i passi da fare, gli elementi per costruire, papa Francesco ci invita a guardare la realtà. Il suo modo di procedere risponde ad uno schema che gli è familiare: vedere – giudicare – agire.

Prima di tutto occorre vedere la realtà per quella che è. Vedere con uno sguardo non superficiale e soprattutto correttamente illuminato. Io posso guardare per anni qualcosa .. ma se ciò che guardo resta al buio, o io osservo da una sola angolazione, non riuscirò mai a percepire, a vedere la realtà per quella che è. Se io sono abitato da pre-giudizi, i miei occhi, di una realtà, di una persona, vedranno solo alcune cose … e sempre quelle.

La prospettiva, l’angolo di visuale di papa Francesco sono gli ultimi, i sofferenti, i più poveri, “le periferie esistenziali” (Cfr Udienza di Papa Francesco, 27/03/2013).

Il punto di partenza di questo documento è un mondo diviso e l’analisi che Papa Francesco fa della realtà è un’analisi molto severa, molto dura. Se nella Laudato sii si era soffermato sul nostro mondo malato nelle sue strutture, la nostra casa comune, qui ampiamente si sofferma e descrive le nostre relazioni malate, fragili, addirittura imbruttite dal male. È un mondo ferito nelle relazioni, quello in cui viviamo. E queste ferite sono tutti gli ostacoli che ci impediscono di sognare insieme, che ci fanno dire: questo sogno è irrealizzabile. Anzi, sono proprio i “sogni che vanno in frantumi”. Scrive Papa Francesco: “Per decenni è sembrato che il mondo avesse imparato da tante guerre e fallimenti e si dirigesse lentamente verso varie forme di integrazione … ma la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro” (FT 9-10). La constatazione è molto amara ed è descritta prendendo a prestito le parole del poeta romano Virgilio, che “evoca le lacrimevoli vicende umane” : “«La storia è lacrime, – o ‘ci sono lacrime delle cose’ e l’umano soffrire commuove la mente». (FT 34). E questo panorama è reso ancora più aspro, incerto, addirittura cupo dalla attuale crisi causata dalla pandemia ancora in corso e che, nonostante le attese e le speranze accese dall’arrivo dei vaccini, non lascia ancora intravvedere orizzonti di soluzione.

Sono ferite che il Papa chiama per nome.

Sono le ferite della politica per cui parole come “democrazia, libertà, giustizia, unità .. sono state manipolate, deformate per utilizzarle come strumenti di dominio, come titoli vuoti di contenuto che possono servire per giustificare qualsiasi azione” (FT 14).

Sono le ferite causate dalla “cultura dello scarto” per cui “certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti” (FT 18).

Sono le ferite delle purtroppo sistematiche violazioni dei più elementari diritti umani, quelli che 70 anni fa, nel 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò solennemente, memore delle atrocità commesse durante il secondo conflitto mondiale affinché simili orrori non si ripetessero più.  (Cfr FT 22).

E che dire delle migrazioni? “I migranti – scrive il Papa – vengono considerati non abbastanza degni di partecipare alla vita sociale come qualsiasi altro, e si dimentica che possiedono la stessa intrinseca dignità di qualunque persona. […] Non si dirà mai che non sono umani, però in pratica, con le decisioni e il modo di trattarli, si manifesta che li si considera di minor valore, meno importanti, meno umani (FT 39).

Sono le ferite di un mondo che si “illude” di comunicare ma “i rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno un’apparenza di socievolezza. Non costruiscono veramente un ‘noi’, ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo de deboli”. In definitiva c’è il rischio di staccarsi dalla realtà concreta e di sgretolare il rispetto verso l’altro che invece ha “bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito nelle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana” (FT 43).

Non si tratta evidentemente di una lunga lamentazione per piangersi addosso né tanto meno di sterili aneliti nostalgici di un passato che non solo non esiste più ma, realisticamente non è mai esistito: una volta si che c’era la fede … oggi non si capisce più niente.

Non è guardando al passato con nostalgia ma al futuro con speranza, che potremo continuare a camminare verso la realizzazione del sogno di una umanità capace di fraternità.

L’ultima parola Francesco la riserva infatti alla speranza. È questo il giudizio sulla storia: c’è una speranza che abita il nostro orizzonte di futuro. Scrive: “Malgrado queste dense ombre che non vanno ignorate, nelle pagine seguenti desidero dare voce a tanti percorsi di speranza. Dio infatti continua a seminare nell’umanità semi di bene” (FT 54). Aveva già detto, papa Francesco, che “il tempo vale più dello spazio” ovvero che è più importante “iniziare processi che occupare spazi” (EG 223). E, commentando la parabola del grano e della zizzania (cf Mt 13,24-30) sottolinea: “Il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo” (EG 225).

Oggi ci affidiamo a Maria, invocandola come Madre dolce e premurosa di tutti i bisognosi. Il mondo con i suoi drammi, non è una entità astratta ma un popolo, una fraternità di donne e uomini che soffrono, che sono emarginati, esclusi, soli, cosificati dalle logiche di mercato. Lo sguardo di Maria, il cuore di Maria, dolce e premuroso verso i bisognosi, diventi il nostro cuore, di noi che siamo qui oggi ad invocarla. Il nostro sguardo, i nostri gesti diventino quei semi di bontà, di grano buono che non teme la zizzania perché sanno che, con il tempo, porteranno frutti per il Regno.

Anche Maria è stata chiamata a guardare al futuro con speranza, fidandosi delle promesse di Dio, nonostante i segni del suo presente fossero “bui”. Pensiamola sotto la croce, quando abbraccia quel Figlio morto, ucciso dalla cattiveria degli uomini. Sentiamola vicina e invochiamola:

Maria, madre dolce e premurosa di tutti i bisognosi, prega per noi.