BEIRUT CALLING

I giovani della Caritas diocesana e la loro Lebanese Experience

Beirut Calling, Beirut sta chiamando.

Come cantavano i Clash nella loro celebre canzone London calling, inno alle preoccupazioni delle vicende mondiali del tempo, così è stato chiamato il campo di servizio che la Caritas diocesana ha organizzato per giovani volenterosi che hanno scelto di trascorrere due settimane della propria estate a rimboccarsi le maniche a Beirut e non solo, in Libano.

L’idea di un campo di volontariato internazionale, novità di quest’anno, è nata per integrare le attività che il centro diocesana già porta avanti rispetto ai temi della mondialità e dell’accoglienza, come i laboratori nelle scuole, gli eventi di sensibilizzazione, l’aiuto concreto a chi ne ha bisogno.

L’intento era, in particolare, di accendere i riflettori sull’ampia questione della mobilità umana che negli ultimi anni tanto interroga la nostra quotidianità, non solo  sulla capacità di inclusione delle nostre comunità, ma anche e soprattutto sulle difficoltà dei Paesi di provenienza di chi è costretto, per svariata natura, a spostarsi.

Si è pensato, quindi, di rivolgersi sia a giovani già impegnati nel sociale, sia a giovani lontani dal mondo del volontariato, proponendo un campo di servizio in un luogo di passaggio, di rifugio e di accoglienza che possa mettere in relazione le attività diocesane rivolte a beneficio dei migranti ed un contesto internazionale.

Un luogo impegnato nella risoluzione di crisi umanitarie – di cui sentiamo tanto parlare,  ma di cui continuano a faticare a rilevarne la gravità – e che fungesse poi da osservatorio privilegiato per conoscere e comprendere le articolate dinamiche della regione del vicino oriente, passaggio fondamentale per avere una più chiara lettura anche degli sviluppi delle nostre comunità.

Il Libano, nella sua complessità e nelle sue contraddizioni, offre oggi scenario ideale per un’attività che si ponesse tali obbiettivi.

Vasto poco più che la Basilicata, tassello dell’intricato mosaico mediorientale, sta affrontando le sfide sia economiche sia politiche che i conflitti e l’instabilità dei Paesi limitrofi impongono.

Segnato anch’egli da una guerra civile che ha dilaniato la nazione a cavallo degli anni ’70 e ’90, e da tensioni mai risolte con lo Stato di Israele, ingombrante vicino di casa, ha dovuto caricarsi sulle spalle buona parte del peso e delle conseguenze derivanti dalla crisi della guerra siriana, iniziata nel 2011 e non ancora terminata.

Secondo i dati raccolti dall’ UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, infatti, il numero totale di profughi presenti in Libano è di 952,562 , composto soprattutto da rifugiati siriani, in fuga da appunto un territorio che non sembra trovare pace.

Il Governo libanese, invece, sostiene che il Paese abbia accolto in realtà oltre un milione e mezzo di profughi dall’inizio delle crisi ad oggi, la maggior parte dei quali vive in condizioni di estrema povertà, in tendopoli nella valle della Bekaa o in quartieri popolari dove abusi ed episodi di razzismo sono all’ordine del giorno.

A partire dal 2014, inoltre, una serie di misure adottate dal Governo libanese ha reso sempre più complicato per i rifugiati siriani ottenere un legale permesso di soggiorno, senza il quale è impossibile avere accesso ai servizi pubblici, lavorare regolarmente o semplicemente ricevere un certificato di nascita.

Le condizioni in cui versano i bambini, in particolare, sono drammatiche: il 75% di loro, non va a scuola e il lavoro minorile è molto diffuso.

 Lo sforzo profuso per arginare tutto ciò e palpabile una volta si visiti il Paese, così come palpabile la fatica di una popolazione, quella libanese, ritrovatasi a gestire una situazione emergenziale numericamente insostenibile.

Basti pensare, ad esempio, che il tasso di disoccupazione dei circa 4 milioni di cittadini (si ricordi sempre che i profughi stimati sul territorio sono circa 1 milione) è schizzata dal  7 per cento del 2011 al quasi 40 per cento di oggi, il debito pubblico è in costante aumento, i flussi di capitale esteri in forte calo e la forza economica di quella che una volta veniva definita la Svizzera del medio oriente è solo un pallido ricordo.

All’interno di questa cornice di convivenza civile, inoltre, bisogna considerare il fragile equilibrio sia demografico che istituzionale che abita il paese dei cedri.

L’ordinamento dello Stato e la rappresentanza parlamentare sono rigidamente regolati in base all’appartenenza religiosa.

L’ufficio di Presidenza della Repubblica è assegnato ad un cittadino cristiano maronita, il ruolo di Primo Ministro è affidato ad un cittadino musulmano sunnita, il Parlamento composto per metà da deputati cristiani e per metà da deputati musulmani, e presieduto da un cittadino musulmano sciita.

Una democrazia confessionale dove ogni possibile tensione o mutamento demografico può portare precarietà nella coesione sociale e nei rapporti di forza di governo.

Leggendo queste righe capirete quindi che per dei giovani italiani giunti per offrire la loro goccia di aiuto nel mare mosso del contesto libanese, fosse necessario avere una guida sicura per orientarsi  e non naufragare.

La collaborazione con Caritas Libano, avviata già nell’inverno dalla Caritas diocesana , ed in particolare, una volta atterrati, con i giovani volontari che ne fanno parte, è stata in questo senso una vera ancora.

Le due settimane di volontariato e di conoscenza del paese sono state vissute fianco a fianco con loro, orgogliosi di mostrarci le attività che svolgono su tutto il territorio nazionale, e le bellezze della loro terra.

Nel concreto due sono, principalmente, sono stati i servizi che ci hanno richiesto.

La prima settimana siamo stati educatori di un summer camp, un campo scuola, che la Caritas libanese aveva organizzato nel distretto di Koura, nel nord del paese.

La seconda settimana abbiamo avuto modo di recarci in due diversi campi profughi, una tendopoli di contenute dimensioni ed un edificio a più piani dove risiedono più di duecento famiglie, tutte siriane.

In entrambi è difficile svolgere qualunque tipo di opera.

I servizi statali sono assenti e le organizzazione non governative, sempre meno e con sempre meno fondi, riesco a malapena ad offrire cure mediche ai casi più emergenziali.

I volontari che vi si recano possono mettersi in ascolto delle storie che gli sfollati hanno da raccontare ed intrattenere per qualche ora la miriade di bambini che altrimenti non avrebbero svago alcuno.

Gesti semplici, ma potenti, che nelle prossime righe saranno raccontati dalle ragazze e dai ragazzi che li hanno vissuti e compiuti in prima persona.

Ci è stato offerto uno scorcio di un luogo tanto complesso quanto affascinante, un luogo di guerra imminente e pace guadagnata, un luogo che è al contempo museo delle disuguaglianze e mostra di solidarietà.

Se ne sei incuriosito sfoglia le prossime pagine! 

Davide Agresti

UN MOSAICO DI FEDI E DI VOLTI

UN MOSAICO DI FEDI E DI VOLTI PER RIVELARE LA PRESENZA DI DIO IN OGNI ANGOLO

In alcune ore del giorno, soprattutto in quelle dove il sole dipinge il cielo con i suoi colori più accesi, in Libano si possono udire il suono delle campane e la voce del muezzin che confondendosi e fondendosi richiamano il cuore di ciascun uditore alla presenza di Dio nel tempo.
Il Libano, soprattutto nella sua parte centrale,mostra la sua caratteristica di mosaico di diversità e bellezza, sia nelle chiese e nelle moschee poste l’una vicino all’altra e tanto somiglianti architettonicamente, sia in questi suoni che si confondono.
In questo paese infatti convivono diciotto confessioni religiose, di cui 12 musulmane e 6 cristiane e si tenta, anche a livello istituzionale, di proteggere questa diversità cercando di garantire a tutti i fedeli una condizione di parità. Il presidente della Repubblica è cristiano maronita, il primo ministro è musulmano sunnita, il presidente del parlamento è musulmano sciita.
Elemento di fortissima unione fra le diverse religioni presenti è Maria (Meriem per i mussulmani). Ovunque in Libano si trovano statue di Maria (alcune anche di dimensioni mastodontiche) ma solo dopo alcuni giorni ci siamo accorti che dietro a questa tendenza c’erano ragioni ben più profonde di un semplice devozionismo. Quando siamo andati in visita al santuario di Our Lady of Lebanon, infatti, fra i tanti pellegrini cristiani -sia cattolici che maroniti- abbiamo incontrato anche diversi uomini e donne (alcune anche con il bulka) mussulmani, anch’essi in pellegrinaggio da Meriem. Nell’islam infatti viene riconosciuta molta importanza a Meriem, tanto da dedicarle un intera sura del Corano. E’stato commovente vedere come oltre alla devozione, quella presenza così “massiccia” di Maria rispondesse al desiderio di incontrarsi, di valorizzare ciò che si condivide più che ciò che divide.
La convivenza fra diverse religioni e confessioni non è certamente facile e girovagando da nord a sud del libano ci siamo accorti anche di quanto gli equilibri cambino da zona a zona e siano sempre da ricreare fra fanatismi ed estremismi di ogni religione, ma l’esperienza di quella terra ci ha anche fatto vedere e toccare con mano quanto sia vero ciò che diceva s. Giovanni Paolo II “ Il Libano non è un paese, è un messaggio”. Questo paese infatti, con il suo semplice esistere e con la sua ricchezza, parla di incontri e convivenze che sono possibili, non a partire dalla negazione della dimensione religiosa o delle differenze ma proprio cercando gli aspetti di spiritualità che possono costituire punti di connessione.
Tale apertura è continuamente da riscegliere. Abbiamo incontrato cristiani che hanno ancora vivo il ricordo di tempi di persecuzione e lotta; la Chiesa Libanese si è mostrata a noi come una chiesa che ha saputo e sa accogliere e amare l’altro -a qualsiasi credo appartenga- ma che in alcuni momenti subisce in modo forte il timore di ritornare in situazioni di disequilibrio tali da mettere in pericolo i propri fedeli.
I cristiani libanesi, in maggioranza maroniti, sembrano vivere un forte senso di appartenenza alla Chiesa e, anche attraverso Caritas, coinvolge e educa molti giovani e giovanissimi al servizio e alla vita spirituale E’una chiesa con un volto giovane ma che ha radici profonde anche nel passato.
Bellissimo è stato visitare la Kadija Vally (La valle santa) luogo di rifugio per i cristiani perseguitati ma anche luogo di preghiera, dove si possono trovare monasteri costruiti – oserei dire incastonati- nella roccia.
In uno di questi cenobi, dopo un cammino su sentieri di montagna, abbiamo avuto la grazia di celebrare la S. Messa, insieme ad un gruppo della Caritas di Lodi.
Nelle tante chiese visitate era affascinante vedere come tratti della spiritualità latina si fondessero con elementi orientali, più simili alla chiesa ortodossa e con scritture, tratti e stili che richiamavano il mondo arabo, che generalmente associamo all’Islam.
Molto arricchente è stato poi scoprire due figure di santi tanto amate dai Libanesi: Santa Rafqa e S. Charbel. Quest’ultimo è conosciuto come il “ Padre Pio del Libano”. I giovani stessi ci tenevano a farceli apprezzare e ci hanno condotto a mete di pellegrinaggio relative a queste figure.
Questi sono solo alcuni degli aspetti che abbiamo potuto cogliere del modo di vivere da fede e la religione in Libano.
In dodici giorni non possiamo dire di conoscere approfonditamente questo paese e la sua spiritualità ma certamente abbiamo potuto fare esperienza di una Chiesa sorella che ci ha accolto con grande cura e attenzione, che ci ha testimoniato una grande carità e spirito di servizio verso i più fragili, che cerca di costruire cammini di pace e che sa valorizzare, coinvolgere e responsabilizzare i giovani.
Abbiamo potuto incontrare Ely, Antony, Peter, Nour, Tania, Maron, Rafka…: fratelli nella fede che al di là della fatica a comunicare, ci hanno trasmesso una fede viva, in cammino, capace di provocare.
Abbiamo potuto ascoltare donne rifugiate Siriane e mussulmane che ci testimoniavano la loro fede nella Provvidenza divina,
Abbiamo potuto condividere la fede dei nostri compagni di viaggio nei momenti di preghiera mattutina e nelle condivisioni di domande e vissuti.
Abbiamo potuto scorgere la tenerezza e la pedagogia di Dio che giorno dopo giorno, imprevisto dopo imprevisto ci ha educato e condotto alla scoperta di mondi altri fuori e dentro di noi.
Abbiamo potuto riconoscere la presenza di Dio nascosta nei bimbi Siriani dei campo profughi, nella generosità dei giovanissimi volontari, nella maestosità dei cedri del Libano, nella gioia dei bimbi del Summer camp, nella bellezza dei monasteri maroniti, nella vivacità della musica libanese e nelle mani unite durante la danza tipica che gioca proprio sull’appoggiarsi all’altro per lanciarsi verso l’alto, mantenendo sempre il ritmo comune, la comunione.
Suor Nadia

Di seguito potrete trovare articoli, testimonianze e foto che potranno forse mostrare un po’ dell’abbondanza di questa esperienza.

Dal 29 luglio al 9 Agosto 2019 venti giovani (e quattro accompagnatori fra cui una suora della sacra Famiglia) hanno colto l’occasione proposta da Caritas Faenza- Modigliana di essere ospitati dai giovani di Caritas Libano per vivere un esperienza di servizio e conoscenza di questa realtà.
I giovani di Caritas Libano ci hanno accolto con una generosità ed un calore immensi. Abbiamo vissuto con loro sia giornate di scoperta della bellezza del libano, sia un campo di 5 giorni per l’integrazione e la crescita di 70 bambini libanesi e siriani insieme, sia la visita in alcuni campi profughi. Proprio questa è stata la gradualità pedagogica con cui il Signore ci ha fatto immergere nella realtà del Libano.
Prima di partire per il Libano sapevo poche cose di questa terra, tornava spesso nella Sacra Scrittura, nei salmi che preghiamo quotidianamente come una terra di bellezza, di ricchezza; avevo il ricordo di quando da bambina ne sentivo parlare quasi tutte le sere al TG, immaginavo alcune caratteristiche e, a ridosso della partenza abbiamo fatto alcuni incontri per approfondirne la conoscenza ma in realtà arrivati lì ci siamo accorti di non sapere nulla del Libano. Questo ci ha salvati. Ci ha fatto mettere in un atteggiamento di vero ascolto e incontro.
Siamo ripartiti ancora più convinti di non poter ancora dire di conoscere profondamente questa terra ricca di bellezza e contraddizioni, ricchezza e povertà, desiderio di accogliere e timore di essere” occupati” e appiattiti dall’altro. Siamo ripartiti con le valigie piene di persone, luoghi, realtà, bellezza, storia, fede,lingue,cibo, conflitti e speranze e soprattutto la sensazione di lasciare una casa. Una casa che ci attende, una casa viva, in movimento, che ancora dobbiamo terminare di conoscere ma che sentiamo comunque nostra.

Quando Luca ha descritto a un suo amico quello in Libano come “il viaggio degli imprevisti” si è sentito rispondere: “Senza imprevisti che viaggio è?”. Così pensiamo che anche il ritorno a casa sia parte integrante del viaggio.
Per noi due, sicuramente, uno dei frutti di questa esperienza è stato ed è tuttora affrontare nella quotidianità l’impatto che il rientro ha generato nella nostra relazione.
Questo ci ha aiutato a scavare e ad andare più in profondità nel nostro cammino personale e di coppia.
Un altro aspetto di cui siamo grati è aver potuto incontrare un popolo che prima era solo protagonista di articoli o report, mentre ora dopo aver condiviso tempo, energie, affetto e sofferenza non è più così distante. Ora quando leggiamo qualche notizia la possiamo collegare a dei volti, a un’esperienza condivisa, e questo accorcia le distanze, sia fisiche che culturali.
Elisa, svolgendo la professione di infermiera, trascorre molto tempo a contatto con le persone, e quando le capita che qualcuno le chieda come ha passato le ferie, condivide volentieri questa esperienza. È contenta soprattutto di vedere la reazione delle persone che non rimangono mai indifferenti, ma si lasciano toccare e interrogare dai racconti sul popolo libanese e sul popolo siriano, sulla guerra e sui campi profughi in cui migliaia di persone come noi vivono in condizioni di estremo disagio e sofferenza. Questo le dona la speranza che, in un mondo dove regnano l’egoismo e la disgregazione, si possa ancora creare un contagio di carità, che nel cuore degli uomini si possa accendere la compassione per l’umanità sofferente, che ci riscopre tutti fratelli.
Per Luca, in questo senso, è stato toccante l’incontro con Radda, una signora siriana che abita in un campo profughi. Nonostante l’impatto iniziale molto forte a causa delle differenze sociali e culturali, è stato bello scoprirsi fratelli, entrambi figli amati da un unico Dio.
Siamo rimasti entrambi molto colpiti dal bisogno di tanti bambini di essere guardati e voluti bene con attenzione particolare, per poi renderci conto che nel servizio che svolgiamo durante l’anno in parrocchia gli occhi dei bambini italiani esprimono la stessa identica richiesta!
Questa ricerca dei ragazzi di qualcuno da seguire ha interpellato molto Luca, che al nostro ritorno ha scelto di prendere ancora più sul serio il servizio in parrocchia con i giovani delle medie.
Per tutti e anche per noi due è stato, infine, sorprendente riscontrare sulla propria pelle come l’amore, anche nelle sue forme più piccole e quotidiane, generi vita! Entrambi conserviamo gelosamente i fiori che Awad, ragazzino siriano, ci ha regalato e il suo affetto per noi per qualche tuffo insieme mano nella mano probabilmente ci resterà scolpito addosso per sempre!
Elisa e Luca

Sono partita in Libano il giorno del mio 42º compleanno. Ero la più “vecchia” del gruppo ma ho imparato tanto dai nostri ragazzi volontari e dai giovani volontari Caritas libanesi. Ho imparato tanto soprattutto da coloro che avevano difficoltà a parlare in lingua straniera e che invece hanno comunicato con il gioco, con lo sguardo, con la voglia di darsi con tutto il cuore. Ho imparato tanto dai ragazzi libanesi, proprio da coloro che non sapevano come gestire i bambini perché attraverso loro ho visto la capacità di attendere, di aspettare, che nel mondo occidentale abbiamo pressoché perduto. Ho imparato tanto anche dai bambini che a 10 anni già parlano tre lingue, l’arabo, l’inglese e il francese. Ho imparato dai luoghi, dai posti di blocco che dividono le regioni, dalla frontiera fluida con Israele, dalle bandiere sventolanti dei partiti di lotta armata, dai poster dei martiri all’entrata di alcune città.. Ma anche dai resti archeologici romani che raccontano una grandiosità e un primato che noi attribuiamo sempre a Roma e che invece, proprio lì, alla porta d’oriente avevano raggiunto fasti e maestosità degni di una capitale.
Ho imparato dai campi rifugiati che non c’è “il campo”, che non c’è “il rifugiato” ma modi diversi attivati da persone fuggite dalla guerra di reagire a uno spazio imposto, uno spazio che non hanno desiderato, che subiscono e dal quale non possono paradossalmente andarsene.
Ho anche imparato dai sapori, quello dell’Arak, bevanda alcolica che unisce il Mediterraneo dal Libano alla Grecia (Ouzo), passando per la Sambuca italiana fino al pastis di Marsiglia.
Ho imparato dai suoni, dai rintocchi delle campane che si alternano ai canti dei muezzin, dai tamburi suonati dai bambini libanesi come fossero nati suonando.
Ho imparato tanto come se fossi stata la più “piccola”, così piccola da sentirmi quasi… rinata.
Federica Tamburini

Libano.. una parola che per me, fino a poco tempo fa,non significava molto, faticavo quasi a sapere dove fosse posizionato geograficamente questo paese e conoscevo su di esso poche informazioni che avevo sentito qua e là nei telegiornali. Ora invece quando penso al Libano nascono in me diverse emozioni: ammirazione, stupore, affetto, stima, speranza. Ammirazione per i ragazzi della Caritas Libano Youth che ci hanno accompagnato in tutta questa esperienza, accogliendoci con grande entusiasmo e cercando ogni giorno di farci scoprire il loro paese. Giovani adolescenti che, anche per la loro età, mi hanno stupito per come si donano al cento per cento, nel loro servizio, per gli altri, per gli ultimi, cercando di superare gli stereotipi e la “paura del diverso” spesso presente nelle persone di questo paese dove convivono popolazioni e culture diverse.
Affetto per i bambini che ho avuto modo di incontrare durante il Summer Camp organizzato dalla Caritas e nei campi profughi, chi ho conosciuto solo attraverso un sorriso, chi attraverso un gioco, chi condividendo alcuni giorni insieme creando nuove relazioni, chi si è fidato di me senza conoscermi, chi, anche nella massima povertà, mi ha offerto aiuto, cibo, acqua facendomi sentire accolta e importante. Li ringrazio perché con la loro spontaneità e innocenzami hanno fatto scoprire il Libano attraverso il loro “sguardo da bambini”.
Alle donne incontrate nei campi profughi che ci hanno voluto raccontarele fatiche e le difficoltà di tutto quello che hanno affrontato, a loro va invece la mia più grande stima, perché nonostante vivano in condizioni in cui nessun essere umano dovrebbe trovarsi, sono in grado di affrontare ogni giorno questa realtà con una forza estrema per se stesse ma soprattutto per i loro figli.
Al termine di questa esperienza miporto a casa sicuramente molte domande ma anche speranza, per questo paese, per queste persone che ormai non sono più soltanto un racconto trasmesso da altri ma sono diventati volti e storie, perché possano, come loro stessi ci hanno spesso riferito, raggiungere una vita migliore per se stessi e i loro cari.
Chiara zama

Sono partita per il Libano con curiosità e senza grandi pretese sul programma, come carta bianca su cui scrivere! L’accoglienza calorosa dei ragazzi che si sono messi al nostro servizio i primi giorni è stata un gran benvenuto! Poi mi sono ritrovata io, in prima persona, al servizio dei più piccoli durante il summer camp a cui abbiamo preso parte.
Mi ha colpito come la barriera linguistica non fosse un problema, bastava guardarsi negli occhi per capirsi. Spesso mi sono sentita guardata con grande affetto dai bambini che partecipavano al campo estivo, e questo mi ha fatto capire che il bisogno che tutti abbiamo è lo stesso: il bisogno di sentirsi amati.
Il summer camp, durato quattro giorni, mi ha dato la possibilità di conoscere ed affezionarmi alle persone che avevo attorno, ed il bene che è passato dai rapporti si è visto anche dalla cura che hanno avuto i giovani educatori nel portarci a visitare le bellezze del Libano.
Infine, il gruppo con cui sono partita era numeroso e vivace; è stato bello scoprirci e confrontarci continuamente durante i giorni di viaggio.
Mi sono ritrovata ad essere testimone oculare di situazioni di profonda povertà e disagio che mi hanno fatto riflettere e crescere.
Camilla Carioli

Un centro commerciale qui, in occidente, è ormai una cattedrale. Le famiglie aspettano la domenica per celebrare la liturgia settimanale del compra-compra. Anche in Libano ci sono di queste cattedrali, ne stiamo esportando ormai in ogni dove, ma quello che mi ha colpito di più è stato un campo profughi in un ex centro commerciale. Non ci sono più negozi, ma solo dormitori. Magari qualcuno ha la stanza che prima era di Gucci, di McDonald o chissà chi. Ora ci dormono dei siriani fuggiti dalla guerra e ripudiati da tutti. I bambini corrono dappertutto, inciampano tra i rifiuti e ripartono allegri. Ridono. È spiazzante, è un continuo contrasto di situazioni il Libano. Ecco, spiazzante, userei questa parola per riassumere questa mia bellissima esperienza.
Daniele Dari

Lettera incompiuta al ritorno dal Libano

Decolla l’aereo che ti porta a casa. Ti allontana dai giorni vissuti in maniera differente, con ritmi insoliti, guardando negli occhi volti dai lineamenti inusuali.

Differente per chi?

Insoliti per chi?

Inusuali per chi?

Nuovi sapori che in 12 giorni hanno finito per essere una lenta quotidianità.

Si solleva da terra un cuore che già si riempie di nostalgia e desiderio di poter, un giorno, fare ancora suo ciò che è stato in quei giorni appena trascorsi.

Il cuore sembra organizzato come una valigia: non vedi l’ora di aprirla una volta varcata la soglia di casa. Per prima cosa verranno alla luce le cose più belle, come i souvenir acquistati al mercato della città, i regali comprati per i propri cari. Oggetti grazie ai quali agganciarsi per condividere i pensieri maturati nei giorni passati.

Finite le cose belle, sollevi i vestiti non utilizzati e ti prepari a cercare la sporta dei panni sporchi, relegata nel posto più difficile da raggiungere, con la speranza che non sia andata ad avvelenare il resto della valigia. I panni sporchi sono da estrarre, esaminare, separare e decidere come trattarli in lavatrice (io butto tutto insieme perché sono pigro e non ho mai imparato i diversi programmi di lavaggio, il tutto mischiato alla poca cura dei miei vestiti). Coi panni sporchi ci devi avere a che fare, accompagnarli in tutti i passaggi fastidiosi prima di riporli, puliti, nell’armadio.

Nel cuore i panni sporchi prendono il nome di rabbia e frustrazione.

Restano addosso domande che non cercano facili risposte o banali semplificazioni di ciò che è stato visto.

Una tra tutte emerge in modo più fastidioso rispetto alle altre: mi riguarda tutto ciò?

Matteo Taroni

“ERANO FELICI!” Suor Rosanna

A quale fiore ti paragoneresti?

La margherita, perché é sempre presente, la trovo sempre dappertutto.

Qual’ il gesto di Gesù che ha toccato di più il tuo cuore?

Tutti i momenti dove Gesù ha perdonato!!

Qual è il brano del Vangelo che più fa vibrare il tuo cuore?

E’ quello che dice:” Siate benedetti dal Padre mio”, perché é bello essere benedetti.

Qual è il personaggio biblico che ti affascina?

Pietro, perché é sincero, non dice le bugie, ma le cose vere. Quando una persona é sincera ha detto tutto.

Che cosa ti ha colpito delle suore della Sacra Famiglia quando le hai conosciute?

Il loro carisma, erano felici!!

Qual è il servizio svolto che ricordi con più affetto e gioia?

A Modigliana facevo il catechismo in parrocchia e lavoravo nell’asilo, mi piaceva molto stare con i bambini. Quando ero giovane superavo tante cose, anche la fatica che ci voleva. 

GRAZIE! Suor Martha Lucia

Sono Martha Lucia Chingatè Acosta, da 19 anni sono suora francescana della Sacra Famiglia. Sono nata in un paesino della regione del Cundinamarca che si chiama Une, qui circondata dalle montagne ho mosso i miei primi passi nella fede.

La mia famiglia non è molto credente, però c’è impressa nella mia memoria la testimonianza della fede del mio nonno, che sempre pregava la Vergine Maria prima di dormire, e fin dalla giovinezza le chiedeva di non morire per una malattia lunga e Dio glielo ha concesso. La sua costanza, perseveranza e amore continuano ad essere un segno per la mia vita.

A scuola c’erano degli incontri con un sacerdote, mi piaceva molto partecipare e mettevo impegno nel catechismo, ma lo facevo soprattutto perché il sacerdote ci regalava delle medaglie e delle immaginette religiose. Nel frattempo però cresceva in me anche l’interesse per la Parola di Dio che mi aiutava a vedere la realtà con uno sguardo diverso.

Nel tempo dell’adolescenza questo interesse si è affievolito e avevo più interesse per gli amici e le vanità. Finita la scuola, però, la presenza di Dio si è fatta di nuovo forte attraverso la realtà, nella povertà delle persone che soffrono, nelle persone che vivono per la strada, nei giovani, nei bambini e negli anziani. C’era in me un dolore profondo, una ricerca di Dio, portava a Lui quelle situazioni di dolore e chiedevo per quelle persone che potesse arrivare qualcuno ad aiutarle. Pregavo anche perché altri non incominciassero a prendere la strada della droga.

Quello che io gli chiedevo Dio lo ha ascoltato. Con il tempo ho ricominciato a leggere la Bibbia e ad andare a messa, sentivo che Dio mi chiamava a prendermi cura di quei fratelli ma io non volevo ascoltarlo, non volevo farmi religiosa.

Poi all’università ho conosciuto le suore della Sacra Famiglia. Grazie all’insistenza di suor Angela e suor Catia che continuavano a chiedermi: “Quando vieni?”, sono andata a conoscere la comunità e poi sono entrata in convento.

Sono molto felice di essere entrata in questa famiglia religiosa nella quale Dio mi ha chiamato. In questo tempo non sono riuscita a togliere qualcuno dalla strada ma sono riuscita ad evitare che alcuni ci finissero; come dice la nostra Madre Fondatrice Maria Teresa Lega “una anima solo vale più che il mondo intero”, ed è questo che vale per l’eternità e davanti a Dio.

Soy Martha Lucía Chingaté Acosta, llevo 19 años en la comunidad religiosa “Hermanas Franciscanas de la sagrada Familia”

Nací en un pueblo de Cundinamarca llamado Une; allí rodeada por las montañas di mis primeros pasos en la fe.

Mi familia es poco comprometida con la fe, pero hubo algo que marcó mi vida y permanece en mi memoria y es el testimonio  de mi abuelito, porque él oraba siempre a la Virgen María  antes de dormir y aunque era joven le pedía a Dios que en  el momento de su muerte no tuviera una enfermedad muy larga en cama y así Dios se lo concedió. Su constancia, perseverancia y amor continúan siendo un signo en mi vida.

En el colegio nos llevaban por grados a encontrarnos con el sacerdote, me gustaba participar mucho de la catequesis y era muy aplicada pero, porque el Padre nos regalaba medallas e imágenes de Dios, pero en medio de este interés, también fue creciendo en mí el gusto por la palabra de Dios que me llevaba a analizar las situaciones de la realidad  con su luz.

Con el paso del tiempo este impulso de niña quedo en el olvido, ya de adolescente Dios no me interesaba porque me gustaba la vanidad y los amigos. Cuando terminé el bachillerato nuevamente volví a sentir la presencia de Dios en la  realidad, en la  pobreza de aquellos que sufren, sobretodo me dolía tanto ver a las personas abandonadas en la calle, a los jóvenes, los niños y ancianos cuando podía les colaboraba, pero en mí existía un dolor profundo, una búsqueda de Dios con el cuál dialogaba y le pedía que los ayudará, que enviara a alguien que tuviera la posibilidad  de sacarlos de la calle y que evitara que otros tantos se perdieran en los vicios.

Mi oración fue escuchada por Dios, claro que  yo no quise aceptar su voluntad aunque algo empezó a cambiar en mí, mi libro favorito fue la Biblia, quise regresar a la misa, pero cuando me decían que por mi forma de vida, tenía cara de religiosa, yo decía con mucha incredulidad ¡NO!, pero fueron tantas la insistencias, que el Señor me condujo por último  a la universidad y allí conocí a las hermanas, había varias comunidades pero me sentí bien con esta por su sencillez y alegría, y así ingresé aunque ,si Sor Ángela y sor Catia no hubieran sido tan firmes al preguntarme ¿Cuándo es que vas a venir?, creo que lo hubiera seguido pensando por más tiempo.

Soy muy feliz de haber ingresado a esta familia religiosa a la que Dios me ha llamado, tal vez en mi vida a ninguno he podido rehabilitar de la calle, pero si he podido evitar que muchos resulten en la calle, porque considero que el legado de Madre Teresa Lega, si tiene un valor en la eternidad y que una sola alma que se salve de perecer en los vicios, vale mucho más para Dios y para nuestra humanidad.

“Cantare por siempre las misericordias del Señor”. Suor Diana

¡Hola!  (Estoy a la izquierda de la foto) Me presento, me llamo Diana Milena Alzate F., soy de un pueblo pequeño Alcalá (Valle); y soy religiosa de la Sagrada Familia.

Mi historia, o, mejor dicho, la historia de Dios conmigo, viene entretejida con otras muchas historias, en primer lugar, la historia de mis padres, Ely y Lucia. Soy la tercera de cuatro hermanos. De mis padres aprendí a rezar, a asistir a la Eucaristía los domingos, los sacramentos, el valor del perdón, el sentido de la fidelidad, los valores cristianos y tantas otras cosas que también hoy sigo recibiendo de ellos, pues nuestros padres, gracias a Dios, siempre ejercen su misión con nosotros por mucho que hayamos crecido.

Este ambiente fue propicio para que, al invitarme Dios a su seguimiento, pudiera responder afirmativamente, pues, sin saber muy bien a dónde me llevaría, ya tenía yo la certeza de que Dios no quita nada, sino que abre los horizontes más allá de nuestra perspectiva humana y nos da mucho más de lo que podemos soñar.

Son muchas las personas y circunstancias de las que Dios se sirvió para llevarme a la vida religiosa franciscana. Antes que nada, junto con mis padres, mis hermanos, y el ejemplo de las religiosas de mi colegio.  En ellas (las hermanas) pude conocer de primera mano lo que es una comunidad de cristianos: “es comunidad viva, vibrante, enamorada de Jesús, frágil y pecadora, pero con la mirada puesta siempre en Él; desde siempre la devoción a María Santísima me acompañó.

Entré a formar parte de esta nueva familia religiosa en 1992; hice mis primeros votos en 1996, hace 23 años. Nunca soñé que llegaría a ser una hermana, quienes me conocían parientes y personas cercanas me llamaban “Sor Sorpresa”. Mi historia es única, como la de cada una, no es que conocía mucho de la vida religiosa, aunque estudié mis últimos años de bachiller con Religiosas, pero no había cercanía, ni simpatía para dar este paso.

Mi vida  considero que era como la de cualquier  joven de mi época: “trabajadora, alegre, deportista, humorista, sociable, recochera”, sin embargo,  empecé a experimentar el deseo de algo más, y a tener la certeza que Dios me llamaba a vivir de un modo particular como hermana.

Dios me llamó a compartir la  formación con otras jóvenes que en medio de nuestras travesuras, nos sentíamos en casa y atraídas por la vida comunitaria y la oración. Es esta la base común que me da esperanza para el futuro: “Dios nos llama y nosotros respondemos con todo nuestro corazón”. Aunque nuestros números estén disminuyendo, estamos aquí, llamadas por Dios para amar y servir a su pueblo con gran pasión.

En estos años de consagración he aprendido tanto del testimonio de las hermanas de Colombia, Italia y Africa; he experimentado en su compañía la vida entregada a Dios, sin tiempo propio, siempre disponible, visitando a las familias, gastando el tiempo con los jóvenes y los niños…vidas partidas para que otros tuviesen vida. Una suave y firme certeza se ha ido forjando en mi corazón: ¡Dios me quiere así! Entregada, partida, rota, enamorada toda de Él para ser por Él, a través de María, todo para los demás. En esta historia Dios se ha hecho presente de una forma maravillosa.

A ti que lees este testimonio, déjate sorprender por Él, ponte a la escucha de Jesús, ¡vale la pena!, te lo aseguro. Me siento muy honrada de estar aquí, y tan feliz de dar esperanza, aunque a veces las dificultades nos hacen desacomodarnos y volver a comenzar.  ¡Es Verdad! como hermanas  hemos elegido un camino que nos ofrece cada día muchos desafíos, pero llegamos a nuestras comunidades con la fe puesta en Dios, para orar juntas, para trabajar y para servir.

Admiro a las mujeres que están de pie junto a mí en la vida religiosa hoy en día.

“Estamos aquí y damos testimonio del amor que Dios tiene por el mundo”.       

   Hna. Diana

“MI HAI SEDOTTO, SIGNORE…”. Suor Bernarda

Mi Vocación nació en el vientre de mi madre: desde niña  recuerdo que ella me decía que admiraba a las hermanitas. Agradezco a mis padres y mis hermanos que me enseñaron a tener temor de Dios y a crecer espiritualmente con valores y formación cristiana.

Hubo un tiempo que pensé en ser monja contemplativa, pensaba en alejarme de tanta maldad y corrupción, sin entender muy bien el significado de la vida consagrada.

Por un tiempo olvidé todo lo que pasaba por mi mente, pero volví a sentir ese llamado que es difícil de explicar y preguntaba: ¿Señor qué quieres de mí? Más adelante en un retiro descubrí  la presencia de Dios en mi vida y comprendí de nuevo que el Señor me llamaba a la vida consagrada pero aún no sabía dónde. Luego el Señor me hizo  conocer la comunidad cuando era madre general sor Vincenza, quien me acogió para hacer las etapas del aspirantado y postulantado en Duitama en 1981. En el año 1982, junto a dos compañeras dimos el paso al noviciado, el cual se desarrolló en Italia junto a Catia y Antonietta. Nuestra maestra formadora fue sor Angela hasta nuestra primera profesión en el año 1985, cuando en una ceremonia muy especial, dije al Señor para vivir “en castidad, pobreza  y obediencia… mediante vuestra ayuda fraterna”… estas palabras han resonado siempre en mi interior, con la confianza de que cuando creo desfallecer, tengo siempre la ayuda de mi fraternidad.

En 1985 regresamos a Colombia para continuar con la formación en el período del juniorado, contando con hermanas como sor Damiana y sor Martha Ventrucci que dieron lo mejor de sí para ofrecernos una formación integral. En el año 2001, junto a Gloria Marlen, mi compañera de camino, hicimos nuestra profesión perpetua, en la parroquia San José Obrero de Cartago. En el año 2010 hemos celebrado nuestras bodas de plata, que fue un momento muy especial para mi vida espiritual.

Si me preguntaran ¿cuál de estas fechas ha sido la más importante? Yo diría que todas porque cada una es inolvidable y todas han dejado huellas en mi vida.

Finalmente quiero decir que hay un signo con el cual me identifico y es la imagen de un tronco viejo y seco con buena raíz, porque cada día es una lucha continua por dejar que el Señor haga su obra en mí y haga de esa raíz el centro de mi vida que es Cristo, quien dona alegría y frescura a mi existencia.