News

Circolare Madre

La conversione dei Padri

Articolo di Rosanna Virgili.

Quanto abbiamo visto accadere nella Chiesa di Roma in questi giorni colpisce profondamente. Assistere ad una liturgia penitenziale nei Palazzi del “potere” terreno e celeste del Vaticano, celebrata verso sé stessi da chi ne è normalmente ministro per il popolo di Dio, è affatto inusuale.

Sacerdoti posti dalla parte dei penitenti, come i laici, come i peccatori. Un fatto che assume un valore di portata storica. Dalle stanze dirigenti e docenti del Vaticano, spesso, in passato, velate o chiuse, esce un ossigeno di libertà, un’aria profumata di verità. Non di una verità dogmatica, che scende dalle cattedre di cui i Vescovi sono titolari, ma che viene dalla realtà, dai “piedi” della chiesa, dalla voce di chi non ha voce e che vede riconosciuto al suo immenso silenzio il diritto alla parola e all’ascolto. L’immagine evangelica che splendidamente esprime questo rapporto è quella della peccatrice di Luca (cf Lc 7,36-50). Mentre il Fariseo la vede e la ignora e giudica – per la condanna – sia lei, sia Gesù; Gesù la indica come la vera maestra della legge e dell’amore, costringendo Simone a guardarla e ad imparare dai suoi gesti e dalle sue lacrime. Noi non sappiamo se il Fariseo si fosse, poi, convertito, ma abbiamo visto che i Padri assembleari di questi giorni, rappresentanti di tutti i Vescovi del mondo, l’hanno fatto. Con la mitezza di un orecchio attento e di un cuore nudo; con l’umiltà dell’accoglienza della verità, con il silenzio della vergogna e la pena delle lacrime.

Per noi, laici cattolici, è stata la prima volta in cui abbiamo assistito ad un clero contrito, non impegnato, innanzitutto, nell’esercizio dei suoi munera, ma dentro l’atto della fede proprio di ogni semplice battezzato: l’ascolto, la conversione e l’“eccomi”. Fondamento, del resto, di ogni credibile ministero e magistero; condizione per evitare di essere dei meri “funzionari” delle strutture religiose, o amministratori del sacro e proprietari dei suoi profitti. Per questo quanto è accaduto non è solo una “pietra miliare” nella vita della Chiesa, (Jerry O’Connor) ma anche una grande festa.

C’è un secondo aspetto di non minore importanza, quello del metodo: la celebrazione pubblica di questa “liturgia penitenziale”. La Comunità cristiana intera ne è stata informata e testimone. Le pubbliche relazioni dei lavori dell’assemblea hanno coinvolto i cristiani, in modo che potessero parteciparvi; del resto la chiesa è la famiglia di tutti, alla cui salute tutti debbono collaborare condividendo le responsabilità, le fatiche, il peccato, la grazia e la sapienza delle analisi e delle decisioni. Certo, l’attore principale è stato ancora una volta il clero, ma un clero che presenta sé stesso al cospetto della “rabbia” di Dio, espressa dalle vittime – com’ha detto il Papa – e che rinuncia a difendersi corporativamente, ma si espone al giudizio e al confronto. Un clero che “accusa sé stesso” mostrando, così, timor di Dio, invece di accusare gli altri, sempre secondo le parole di Francesco. La trasparenza dell’assemblea fa di questa riunione una pagina degli Atti degli Apostoli, dove pubblicamente e in assemblea plenaria si discuteva sulle questioni essenziali della fede evangelica.

Il terzo grande merito di questa assemblea è il rapporto che ha voluto stabilire con le società civili di ogni nazione in cui la Chiesa è attendata. L’alleanza è, innanzitutto, con chi lotta contro gli abusi sui minori e si impegna, in vario modo, contro ogni violenza di tal genere. È così che l’atto penitenziale celebrato si trasforma in vera conversione, vale a dire non solo nel proponimento di cambiare rotta, ma nel diventare parte della soluzione. Vuol dire prendere impegni precisi e tassativi su cosa fare nel presente- futuro contro la “guerra” che, in tutto il mondo, viene portata, ogni giorno, ai bambini e ai ragazzi, alle donne e ai più deboli.

Una conversione che è, del resto, un tutt’uno con la vocazione cristiana, la cui pura identità è dettata da Gesù: “Lo Spirito del Signore è su di me; mi ha inviato a portare il vangelo ai poveri, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi” (Lc 4,18). Proprio dai piccoli, dagli inermi, dagli esclusi, Gesù ha avuto la gioia più grande, poiché a loro il Padre ha rivelato il mistero del Regno dei cieli. Se la Chiesa non fosse leale nell’annuncio al mondo di questa Buona Notizia, non solo non resisterebbe, ma non avrebbe neppure ragione di esistere.

Per questi ed altri aspetti qualcuno ha parlato di inizio di Riforma della Chiesa cattolica. Noi ci speriamo e ci crediamo fermamente.

La potenza del male

Nel suo discorso conclusivo Papa Francesco ha definito gli abusi sui bambini il segno tangibile del male. Criticando la debolezza dell’ermeneutica positivistica, ha affermato con forza che per una simile mostruosità non c’è spiegazione, né, tanto meno, giustificazione “umana”, poiché l’orrore supera l’uomo, al punto che dobbiamo ricorrere all’opera di Satana. Per chi avesse visto concretamente la devastazione degli abusi sulla carne dei piccoli questa idea non sarebbe affatto peregrina. Vedere neonati di un mese sfregiati con coltelli da cucina sull’inguine, o bruciati da mozziconi di sigarette spenti sulle parti più delicate e sensibili del corpo; bambini di meno di un anno letteralmente scotennati con geometrica cura; piccoli di quattro o cinque anni costretti a ingoiare pastiglie per fare cose che mai potrebbero fare, in condizioni di normalità, sul corpo del carnefice; beh queste e altre migliaia di fantasie del genere non possono davvero venire che dal Maligno. Tanto sembrano superare un livello di male compatibile col termine: “umano”. La pedofilia, o l’infantofilia, – e quanto è terribile l’equivoco linguistico! – non è fatta – ahimè! – di carezze, ma di violenza inaudita, mortifera, diabolica davvero, nel suo calcolo, nella sua programmazione, nella sua reiterazione, nel suo compiacimento della repressione e della sofferenza della vittima, nella malvagità del veder distruggere il germoglio dell’umano. Vale a dire di sé stessi! Quanto rende inevitabile l’interrogazione a Dio: com’è possibile che l’uomo sia capace di tanto?

Una pagina della Bibbia risponde: “Io pongo dinanzi a te la vita e il bene, la morte e il male” (Dt 30,15). Dio ha dato all’uomo, in effetti, la facoltà di fare il bene, così come di fare il male. L’essere umano può volere e fare il male. Proprio per questo Gesù dirà sulla Croce: “perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Non conoscono la potenza del male, lo sfregi sul corpo degli innocenti, che Gesù ha conosciuto. Per questo la guarigione dal male dei pedofili potrà venire non dalla loro eventuale, riscoperta virtù, ma dalla grazia delle loro vittime.

Vittime e carnefici

Ciò che sorprende nel fenomeno della pedofilia è, ancora, l’elemento degli ambienti nei quali si consuma: la famiglia, innanzitutto, poi la scuola, la palestra e la chiesa. I luoghi in cui non solo i bambini, ma tutti noi viviamo e i nostri figli crescono fidandosi e affidandosi. E qui si impone il tema delle donne e delle madri. Com’è possibile che le madri non vedano o non sappiano, non si accorgano, o non denuncino, non sottraggano i loro figli ai mariti e padri, agli zii e nonni? Che succede alle madri? Se pure le cinghiale diventano aggressive e capaci di sbranare chiunque si accosti ai loro neonati, perché le madri dei bambini violati, anche fin da piccolissimi, non sempre si rivoltano ai loro congiunti o agli altri che ne approfittassero? In quali condizioni versano le madri dei bambini e dei ragazzi che subiscono stupri o violenze pedofile? Spesso violentate esse stesse, vivono nel terrore. Ricattate e senza lavoro, non possono pensare di liberarsi dai loro uomini feroci. Spesso private da ragioni antiche di consapevolezza, di forza interiore, sottomesse nelle coscienze al potere maschile ed ai suoi arbìtri. Sole e senza dignità, né parola, né alcuna facoltà di agire.

Ho conosciuto donne nate da stupri – consumati da uomini vecchi su membra poco più che bambine – stigmatizzate e isolate – anche fisicamente – nelle scuole religiose come “figlie del peccato”. Un fatto che appartiene al passato, quando nessuno denunciava simili cose, ma che ci fa capire come sia verosimile che il crimine del pedofilo diventi, paradossalmente, l’origine del senso di colpa che schiaccerà il cuore della vittima.

Il pensiero delle donne

Accanto a queste povere donne e madri, ci sono state, però, e ci sono in numero sempre crescente, le donne che gridano contro queste mostruosità, che denunciano, che mettono in pieno il loro impegno, la loro forza e il loro coraggio, la loro cura per trarre dal magma dell’orrore, sia i figli, sia le madri; sia le bambine, sia le donne.

Statisticamente, nella famiglia, come nella Chiesa, così come in altri ambiti della società civile, la pedofilìa è praticata in grandissima parte da uomini per cui, oltre alla conversione degli stessi – di cui vediamo, oggi, promettenti esempi – dovranno essere le donne a far da muro critico e di protezione tra padri e figli/e, tra vecchi e bambine/i; tra neonati di ogni sesso e maschi adulti malati o in cerca di affermare la loro smania di potere.

Un “muro” che si traduca in una strada per fare esperienza di relazioni sane e mature; che assuma parole e compiti di educazione e formazione della persona, affinché si diventi capaci, tutti insieme, di autentici rapporti umani, che non possono prescindere dall’affettività, dalla moralità e dalla spiritualità. Che porti a reclamare la paternità degli uomini, sempre più spesso disertata o rifiutata dagli stessi, attratti dal mito di un’eterna adolescenza. Il delitto della pedofilia è il delitto dei padri che rapinano la vita ai propri figli, e, nella Chiesa, il peccato che rende il mondo orfano di Dio e sospetta anche la Sua paternità.

Noi donne di ogni fede e cultura, non dobbiamo renderci complici dell’omertà, ma dobbiamo combatterla con decisione e radicalità; dobbiamo superare la paura maturata in secoli di sottomissione, ricatto, violenza e dipendenza che ci hanno fatto “snaturare” persino l’identità femminile e materna, al punto di indurci, talvolta, anche a una tragica e passiva connivenza.

A proposito della pedofilia nella Chiesa, lo storico Alberto Melloni ha dato un’origine molto chiara, ponendola, proprio, nel silenzio delle donne che venne loro imposto, pochi anni dopo la nascita del Cristianesimo, contro la logica evangelica (cf Repubblica 20 Febbraio 2019).

Papa Francesco ha pronunciato parole preziose a proposito della donna, dopo la relazione di Linda Ghisoni: “dare più funzioni alla donna è buono, ma dobbiamo valorizzare il suo pensiero”, ha detto. Sì la Chiesa cattolica ha bisogno di un “pensiero femminile” che aiuti a liberare e promuovere un fecondo pensiero maschile, così da farsi interprete, con esso, di quel “pros tò simpheron” “quel bene di tutti” che è la costruzione del “corpo” della Chiesa (cf. 1Cor 12,7).

L’integrità e la comunione della Chiesa è, infatti, l’unica, autentica testimonianza del Corpo del Signore: insultato, violato, flagellato, ucciso, come tante delle nostre povere creature, ma poi Risorto. E proprio ai fini della testimonianza della Resurrezione, indispensabile è il pensiero e l’esserci appieno della donna, sentinella che veglia nella notte, sospingendo la luce sull’alba del Risorto, proprio come hanno fatto le donne dei Vangeli.

Convivenza donne a Faenza

CONVIVENZA DONNE: ACCOGLIERE E SENTIRSI ACCOLTE

“A” DI  ACCOGLIERE, “B” DI BELLEZZA, “C” DI  CONVIVENZA

“A” di Accoglienza. Questa è la parola che ha accompagnato per una settimana tutte noi, le ragazze che hanno vissuto l’esperienza di convivenza da venerdì 1 a giovedì 7 febbraiopresso il seminario di Faenza.

Noi, 13 ragazze di età tra i 19 e i 27 anni, guidate da Suor Nadia, Anna e Alice, abbiamo vissuto la bellezza di un intero weekend insieme e delle fatiche della settimana, ognuna con la propria routine e i propri ritmi, provandola gioia del sentirsi accolte dalle altre,come essere a casa propria ogni volta che si rientrava.

La giornata era scandita da alcuni momenti comunitari: il lancio del tema la mattina appena alzate, spunto di riflessione che ci accompagnava per l’intera giornata, la condivisione a piccoli gruppi nel pomeriggio, durante la quale avevamo modo di confrontarci su pensieri e domande suscitate, e finalmente la sera, durante la quale riuscivamo a ritrovarci tutte quante insieme per un momento di preghiera e ringraziamento,seguitodalla cena e dalla serata, sempre diversa e stimolante (film, giochi, chiacchiere e testimonianze).

Il percorso della settimana ha visto l’approfondimento di molte figure femminili bibliche e non, che con la loro povertà e semplicità hanno generato vita e portato alla luce valori,da poter custodire e fare nostri.

Con gioia abbiamo ricevuto la visita e la testimonianza di due ospiti: Latifa, mediatrice culturale molto impegnata nella promozione dei diritti delle donne musulmane, e Lidia Maggi, pastora battista e biblista, che ha ripreso alcuni esempi di donne dell’antico e del nuovo testamento che con coraggio e determinazione “hanno preferito essere coerenti con la vita e non con la giustizia”.

Insieme abbiamo scoperto la bellezza di come la Bibbia sia davvero parola viva e parli a noi.

E’ stata un’occasione per conoscerci meglio, tra chi era amica da una vita e chi si incontrava per la prima volta. Siamo riuscite ad immergerci fin da subito e con facilità estrema, in quello che era il tema della settimana ovvero l’accoglienza: nei dialoghi tra noi, nelle condivisioni di gruppo, nell’aiutarsi a vicenda a studiare e a fare i lavori quotidiani, e nell’ascoltarsi, oltre che con le orecchie, con il corpo e con il cuore. Si sono creati una sintonia e un legame davvero profondo, dei quali possiamo ringraziare chi ci ha accompagnato nel percorso e chi ci accoglie e  accompagna sempre tutti i giorni, più grande di noi: Dio!

Le ragazze della convivenza 2019