In cammino verso Roma, insieme! Testimonianza di Asia e Arianna

Chiamati a vivere un’esperienza di sinodo,di cammino insieme.

Pellegrinaggio Passo dei Mandrioli-Sarsina.

Se penso a quanto vissuto la parola che riassume tutta l’esperienza è gratitudine.

Spinta da una grande curiosità mi sono fidata di questo invito, partendo con un cuore carico, più dello zaino, di gioia e aspettative ma anche di domande,dubbi e paure.

Preparandosi al pellegrinaggio è stato fondamentale puntare lo sguardo sull’essenzialità, lasciando a casa le cose superflue e i pesi inutili rinunciando così alle comodità. In realtà giorno dopo giorno è stato bello accorgersi che non mi mancava niente,anzi ricevevo cento volte tanto. Il camminare fianco a fianco permetteva al cuore di aprirsi all’altro, di conoscersi e questo scambio di storie era ricchezza, così come il sostegno reciproco che ci si dava nei momenti più impegnativi dove le gambe pesavano,l’acqua scarseggiava, lo zaino in spalla iniziava a diventare ingombrante e la fatica faceva emergere i propri limiti. Contemplare la bellezza del Creato che ci circondava e il panorama ci ripagava di ogni nostro sacrificio,come la gioia di raggiungere la meta ogni giorno. Il punto di arrivo dava senso, infatti, al nostro andare. Grazie all’aiuto della guida si comprendeva meglio la strada, tracciata da una segnaletica, le distanze da percorrere, i disagi da affrontare e gli accorgimenti da prendere; ciò non significa che non abbiamo incontrato imprevisti e che non è stato necessario ricalcolare il percorso più di una volta. Il ritmo del pellegrinaggio è un ritmo lento che ti permette di accorgerti delle piccole cose e di gustarle e offre del tempo per stare in silenzio di fronte a noi stessi e a Dio, lasciando spazio all’ascolto di sè e aprendo il cuore alla preghiera. Accompagnati ogni giorno da una parola chiave che dava continuità al nostro cammino e da domande che ci aiutavano a metterci in discussione, ogni sera ci si confrontava a gruppi condividendo anche il frutto dei momenti personali di riflessione.

Ognuno con il suo passo, dopo aver toccato 5 tappe del cammino di S.Vicinio ecco l’arrivo a Sarsina, soddisfazione e meraviglia! Ma il pellegrinaggio non finisce qui, Roma ci aspetta.

Da mille strade,siamo qui.

Dopo essere stati accolti da una parrocchia romana e aver vissuto un momento di incontro insieme a tutti i ragazzi della Diocesi di Cesena e il nostro vescovo, ci siamo spostati al Circo Massimo dove si è tenuto l’incontro e la veglia con Papa Francesco e tutti i giovani italiani. Con il suo invito ad essere pellegrini sulla strada dei nostri sogni e l’incoraggiamento a rischiare, senza paura, per realizzare qualcosa di grande,ci siamo sentiti parte importante della chiesa e protagonisti di questa forte esperienza di comunione e fraternità.

La serata ha continuato con un momento di festa insieme e la notte bianca, animata da momenti e attività organizzate per le vie di Roma. La mattina seguente siamo stati accolti in Piazza San Pietro dove abbiamo celebrato la S.Messa e l’Angelus del Papa che ci ricorda che ‘è buono non fare il male, ma è male non fare il bene’.

L’esperienza è giunta al termine e ora il vero pellegrinaggio continua a casa, l’impegno del ritorno è proprio quello di non dimenticare e di rendere la vita quotidiana, una vita di cammino, di incontri e di gratitudine per ogni cosa.

Asia

 

 

Ed è già giovedì! Di già!

Sei felice? Eccola, la domanda che manda in crisi mistica; speravo di non dover rifletterci sopra e, invece, sister power e i suoi compari hanno deciso di piazzarmela bellamente sul piatto del dolce, come saluto finale di un viaggio pieno zeppo di qualunque cosa. Qualunque cosa: risate, chiacchiere, riflessioni, silenzi, fatiche, aiuti, sostegni, ascolti (liberamente tratto dal dizionario “Pellegrino express”). Non è per nulla facile descrivere i cinque giorni appena trascorsi poiché non son stati soltanto sveglia – messa – colazione – camminata – pranzo – camminata – incontro – cena – buona notte; ad ogni tappa della giornata e del pellegrinaggio quel “qualunque cosa” compariva prepotentemente. E anche se il mio italiano è pessimo e conoscevo ben poche persone prima di partire, si è creato un gruppo stranissimo che aveva per forza qualcosa in comune. Ci siamo ritrovati per caso (il caso non esiste, cit. maestro Oogway) a compiere questa avventura, poco o nulla sapevamo degli altri compagni, ma la voglia di conoscerci non ci ha mai lasciato: il gruppo vantava la bellezza di una quindicina di tanzaniani, di studenti, laureandi, lavoratori, seminaristi, parroci, suore (una sola che faceva per due). Ogni giorno macinavamo chilometri e, fra un pensiero e l’altro, ci accompagnava una parola, una keyword, che puntualmente mi faceva sprofondare in un silenzio lungo e denso di pensieri. Alcuni pochi sfortunati si sono beccati i miei trip mentali durante gli incontri giornalieri (grazie compagni di gruppo) e devo ammettere che sono stati proprio utili. E fra eliminazioni varie, eremiti e domande bypassate, cascate e non cascate di Alfero, storie inventate a casaccio su lupi, logistica al top, sorprese, sono tornata a casa stanchissima, ma con una gioia nel cuore che non riesco a descrivere. Ed è già giovedì! Di già! Tristezza.

Arianna

 

LA STRADA

Anche quando l’hai fatto tante volte, anche quando sono anni che ti ripeti “questa volta è l’ultima, adesso basta”, anche quando sai che i tuoi piedi diventeranno campi di battaglia… alla fine non riesci a rimanere sul divano, nel tuo letto comodo!

La strada è scomoda, è impegnativa, è faticosa ma è estremamente affascinante e generosa!

Lo sai che il peso dello zaino è fondamentale, ma quell’etto in più di cose che non userai c’è sempre, e mentre cammini ti ricorda che di cose di cui puoi fare a meno, che ti farebbero sentire più libera e più semplice ce ne sono tante.

Allora parti… passo dopo passo, km dopo km, salite e discese, case, boschi, fontane di acqua fresca, mucche, la visione di un punto ristoro, il rumore del passo di chi cammina con te, il canto, i muscoli che tirano, la fame e la sete, il sole, la pioggia, il vento e la brezza leggera. La strada è ricchezza, non manca niente lungo la strada… mi viene in mente il salmo: “su pascoli erbosi mi fai camminare, ad acque tranquille mi conduci”.

Ma lo sai che prima o poi quell’attimo di disperazione e di scoraggiamento arriva, quando la salita è ripida più del dovuto, quando la discesa sembra infinita, quando il sole e la polvere ti tolgono il respiro… è l’attimo in cui tutta la fragilità si fa sentire, è viva la fragilità, la pochezza, l’umanità…. È il momento dove l’immagine di sé si ridimensiona, perché sei una creatura, non ti sono stati dati i super poteri per teletrasportarti all’arrivo, perché ogni passo è importante, ogni passo sudato sia nella gioia sia nel dolore ti fa crescere.

Nell’essenzialità e nella povertà della strada c’è tutta la ricchezza… una parola, un silenzio, un sorriso, un abbraccio, un sorso d’acqua condiviso, una presenza che accompagna, la Tua presenza Signore della vita, Signore della strada, Signore delle anime belle.

Ogni strada come ogni vita è dono ricevuto gratuitamente, è motivo di ringraziamento…. E mi vengono in mente le parole di un canto:

“Ti ringrazio mio Signore,

non ho più paura,

perché con la mia mano nella mano degli amici miei,

cammino tra la gente della mia città,

e non mi sento più solo,

non sento la stanchezza e guardo dritto avanti a me,

perché sulla mia strada ci sei Tu.”

 

 

“…ero in Carcere e siete venuti a trovarmi”: la testimonianza di sr Loretana

“…ero in Carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt,25,36b)

Queste Parole di Gesù, hanno echeggiato sempre nel mio cuore,…

Ebbi l’occasione di entrare in carcere, per una volta, nel vecchio carcere di Cesena, poi in quello di Chieti e di Forlì. Furono esperienze brevi, ma indelebili!

Nel 2015, “Anno della Misericordia” avvertii l’urgenza di donare più attenzione e più tempo a ”Visitare i Carcerati!”… oltre ai Poveri e agli esclusi delle periferie, Opere di Misericordia, tanto vive e raccomandate da Papa Francesco.  Per me, i Prigionieri erano ancora più estranei degli stessi Migranti che bussano spesso alle nostre porte. Decidermi per incontrarli, voleva dire bussare alla porta del Carcere e, fare  io stessa, la domanda di poter entrare e parlare con loro. Fui accompagnata da Don Roberto, Cappellano del Carcere Rebibbia e, responsabile dei Cappellani e delle Religiose che operano nel luogo. Mi fu guida in tutti i sensi e passaggi obbligati, per poter transitare, ogni volta, la porta blindata del Carcere e raggiungere il centro dei vari ingressi dei reparti: cinque larghi cancelli con cinque lunghi corridoi, simili a strade a senso unico.        Ero emozionata, ma decisa…, di dover rispondere ad un invito del Signore.

Come primo giorno, fui mandata con Don Antonio, un Cappellano del carcere, per una Celebrazione Liturgica. Camminando verso la Cappella, il Sacerdote mi disse che andavamo nel reparto G.12, quello dei criminali… Mi suggerì di non pensare mai al reato che ciascuno poteva aver commesso, ma di guardare ognuno come li guarda Gesù e di accoglierli, come fratelli da amare…. Arrivarono in Cappella, tanti detenuti silenziosi e ordinati. Salutarono cortesemente il Prete e me sconosciuta, come se mi aspettassero, come un dono, perché ero andata alla loro Messa. Non mi fu difficile guardarli, sentirli fratelli ed esprimere amicizia.

Fu una messa speciale e partecipata: tutti pregavano, rispondevano, ascoltavano, riflettevano, si alzavano, si inginocchiavano…come la Liturgia richiede.

Il primo colloquio in carcere fu con Andrea, 21 anni, proveniente dal carcere di Camerino. Arrivò nella stanzetta, dove io l’aspettavo, piuttosto emozionato, nervoso, angosciato…Guardava per terra e non parlava… Lo salutai delicatamente, mi feci vicina stringendogli le mani fredde e tremanti e mi presentai…. Quando sentii che ero nativa del Comune di Matelica, alzò lo guardò, si incoraggiò e mi chiese: Come mai hai pensato a me? Io aspettavo qualcuno che mi chiamasse per poter parlare…e tu sei venuta….chi ti ha mandato?…

Andrea stava vivendo l’esperienza punitiva dell’isolamento e lo sciopero della fame, per farla finita…

Iniziò a parlarmi della paura del terremoto, che visse chiuso in cella, dell’angoscia per la sua famiglia, perché non aveva avuto ancora nessuna notizia, del viaggio notturno che lo portò al Rebibbia, della sua profonda sofferenza e delle sue ultime decisioni…  L’ascoltai per tutto il tempo che aveva bisogno di parlare,….teneva a memoria solo il numero cellulare della mamma, per permettermi di poterla poi chiamare e avere notizie. Infine Andrea mi abbracciò forte e chiese: Quando torni a portarmi le notizie di mamma? Ci scambiammo gli impegni…  Con Andrea ho conosciuti i nomi e i volti di tanti altri detenuti, con storie diverse, ma somiglianti nella sofferenza e nel bisogno di essere chiamati, accolti, ascoltati e desiderosi di avere notizie delle famiglie.

Nel tempo in cui ascolto e parlo con un Detenuto non mi interessa sapere che cosa ha fatto, perché è finito qui; non è questo il mio compito…lo lascio a chi è di dovere. Io l’ascolto come Persona: sono lì impegnata, più ad accogliere e a prestare attenzione, che a parlare.     E’di questo che hanno bisogno !…

Sono tanti i Detenuti, sono tanti coloro che fanno domanda per un colloquio con una volontaria, sono tanti i loro bisogni materiali e spirituali… due giorni alla settimana, per me, è ben poco, è come una goccia d’acqua nel mare!… Per ogni Volontario è sempre troppo poco, pur sempre tanto necessario…

Più i giorni, le settimane, i mesi passano, più sento l’urgenza di non mollare mai, di fronte al poco tempo materiale, alla fatica, al freddo, al caldo,…. E’ poco quello che mi è permesso fare per i detenuti, ma ci sono per ascoltare, amare, portare Speranza, Pregare insieme….questi sono i compiti propri del Volontario e di questo ne hanno tutti sempre tanto bisogno.

Cerco di essere quella mano tesa che porta l’Amore, la Speranza e la Misericordia di Gesù, quella voce che condivide e unisce il Detenuto con la propria famiglia per sollevarli dalle loro solitudini, sofferenze, disperazioni….

Al Carcere Rebibbia ho incontrati tanti Detenuti dai 19 ai 60 anni circa, italiani, stranieri, cristiani, ortodossi , musulmani …. ho accolto e ascoltato ciascuno come un fratello, che ha sbagliato, alcuni forse alla grande, altri meno…altri ancora… forse sono innocenti…I primi riconoscono i loro sbagli, si vergognano, sono pentiti e consapevoli che stanno pagando il male fatto. Quelli che pensano di essere innocenti, aspettano la giustizia, la verità, la libertà…Molti vivono con ansia, perché non sanno nulla dei propri cari, dei propri ammalati, sono preoccupati per i loro figli, per il loro lavoro, per il loro avvenire… Se non vengono chiamati, ascoltati, accompagnati, incoraggiati, consolati… perdono la Speranza di riacquistare la libertà,perché non si sentono capiti, nè rispettati come persone….,… cresce in loro il nervosismo, la disperazione, la sete di vendetta….

Molti ancora soffrono per solitudine, per mancanza di denaro, di indumenti intimi e per proteggersi dal freddo, per mancanza di cure indispensabili, di avvocati solleciti ed onesti…tutto ciò perché molti non hanno né famiglia, nè parenti vicini… pertanto non ricevono visite, si sentono abbandonati, numeri, insignificanti…

A volte qualcuno pensa di scrivere una lettera per iniziare una relazione, per il desiderio che qualcuno si ricordi di loro, lo possa ascoltare e gli possa rispondere, ma…sembra strano a noi liberi: molti detenuti mancano anche di una penna per scrivere, di un foglio, di una busta con francobollo, spesso anche della memoria per ricordare un solo indirizzo di una persona cara. Tanti desiderano ricevere uno scritto da un familiare, da un amico… di condividere con persone amiche! Sono consapevoli, che il volontario può fare poco per loro, ma aspettano da noi di essere accolti, ascoltati e vicini per condividere il loro malessere, i loro bisogni materiali e spirituali, per Pregare e per leggere la Parola di Dio insieme a loro, per ascoltare una buona parola, per ricevere un consiglio, una corona, un libro, …  Ogni volta mi aspettano con tanta pazienza, si preoccupano se per un po’ di giorni non mi vedono arrivare, mi chiedono incessantemente di non dimenticarli… La visita del Volontario è sempre attesa; per loro è un segno di amore, di vicinanza, di speranza per condividere le loro attese…

I Detenuti in Carcere non cessano di essere uomini come noi, non cessano di essere Figli di Dio, non cessano di far parte di una Famiglia, di una Parrocchia, di una Diocesi… della Chiesa Universale. Dimenticare i loro nomi, le loro presenze, significa mutilare il Corpo di Cristo di alcune sue membra malate, come lo siamo noi.

Il Carcere è veramente il luogo dove i reclusi fanno esperienza di violento isolamento, di rinunce continue, di pazienza certosina, di lunghe attese…nonchè di condivisione fra i compagni di cella, di ricerca di Dio e di significato per dare vero senso alla loro vita futura…

Incontrare, ascoltare, pregare, seguire, entrare nella vita del Detenuto, sono esperienze forti di partecipazione, di compassione, di consapevolezza che sono “fratelli che mi appartengono”

Ogni volta che torno in carcere, sono motivata e sicura di camminare in Compagnia di Gesù per rispondere ad un suo invito “và e sii strumento del mio Amore e della mia Misericordia” (cfr:Ger 1,7-9)

”Ti basta la mia Grazia. La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Corinti 12,9)

Dopo ore di colloqui in Carcere, torno in Comunità stanca, ma più ricca di umanità, di Misericordia, di consapevolezza delle mie fragilità di fronte a situazioni umanamente impossibili da risolvere.

Sento più forte la necessità di Pregare per quanti ho incontrato nella sofferenza e di offrire le mie fatiche quotidiane, che messe a confronto con chi vive dietro le sbarre, sono sempre insignificanti.

Attingo il coraggio necessario nella fede, nella Preghiera, nella presenza di Gesù vivo, sempre vicino che mi ripete: “vai, non avere paura! Io sono sempre con te!”(Mt28,19-20)