Anche da noi è ancora di moda consacrarsi a Dio

ANCHE DA NOI È ANCORA DI MODA
CONSACRARSI A DIO

Aveva continuato a camminare. Ormai il silenzio era profondo, si sentiva soltanto il rumore uguale e nervoso dei suoi passi. Poi finì anche il viale, e si trovò a calpestare il sentiero sabbioso che portava sulla spiaggia.
Era un sentiero noto, che attraversava da sempre. Tanti anni prima, quando faceva quel tratto, papà la sollevava sulle spalle, e lei lassù faceva «cavalluccio» e si sentiva padrona del mondo, con quella fiducia che è tipica soltanto dei bimbi.
Era passata più tardi con la maestra… e poi avanti, insieme a tutti i compagni di classe per festeggiare la promozione, insieme a quel gruppo di amici, quella sera che avevano acceso un falò e poi cantavano col viso illuminato da un fuoco gagliardo e scoppiettante… quella mattina in cui era venuta a vedere l’alba… quel giorno in cui il mare era tanto mosso che aveva sollevato e spaccato due banchine del molo… quella volta in cui aveva trovato un cucciolo morto portato dalle onde sul bagnosciuga…

Adesso camminava vicino all’acqua discutendo tra sé; da qualche tempo Cristo l’aveva investita con una frase sconcertante: «Va, vendi quello che hai e seguimi… ».
— No, non può essere, non è cosa per me… mi preme troppo la mia carriera, il mio lavoro… ho già in mano un avvenire che si preannuncia pieno di soddisfazioni… e tutto è lecito, tutto è normale… mi sto sbagliando, figuriamoci!
La risacca sembrava portare e riportare pensieri e immagini… le riportò l’immagine di una suora.
— Questo poi mai, ci vogliono altri tipi per le mura del convento, là dentro ci vanno dei misantropi un po’ eccentrici e un po’ falliti… A me non mi piglieranno mai… —
Rivedeva adesso la sua tranquilla villetta. Lo studio così moderno stipato di libri… Rivedeva le lunghe corse in automobile…il campo da tennis appena innaffiato… le colazioni di lavoro coi colleghi… le ore piccole nella sede del suo partito…
Rivede soprattutto sua madre, sente il calore vivo della sua famiglia.
Decisamente, scaccia quel pensiero molesto, stridente, troppo lontano dalla sua realtà normale, dal suo mondo piccolo, ma onesto, messo insieme con fatica… un mondo cui non manca quasi nulla.

Accarezza con un ultimo sguardo l’orizzonte, sulle onde un gabbiano vola basso, poi si impenna e sale quasi in verticale verso l’alto, è l’immagine della libertà…
— Anch’io voglio essere libera come lui.
— E poi non faccio niente di male, non rinnego mica Cristo, solo ho diritto alla mia libertà, ho diritto a costruire e a vivere la mia vita.
Passano alcuni mesi. Il discorso di Cristo si fa più pressante, più urgente.
La domanda è più diretta, la resistenza è ancora più ferma.
Ma niente può resistere alla Sua chiamata. Crollano ad una ad una tutte le certezze. Non c’è più niente che interessa, non c’è più niente che conta, non c’è più niente che vale. Tutto precipita nel vuoto, c’è solo il buio, la stanchezza, la noia, l’angoscia.
Ormai in tutto riscontra il senso dell’inutilità, dell’assurdità, il senso del finito… tutto sa di polveroso, di immobile, di vecchio, di legato, di cristallizzato.
Tutto è condizionato, tutto è niente.
Non posso resisterti. Signore. Ho cercato In me e intorno a me il senso della mia vita, ma tu solo sei la via. Ho cercato nelle persone e nelle cose un motivo per vivere, ma tu solo sei la vita. Ho cercato tanto la verità, ma tu solo sei la verità. Signore, hai vinto tu.
Può sembrare un atto di resa… è l’inizio della Sua vittoria.
Qualche mese dopo è davanti a Lui, nella cappella deserta.

— Sarebbe meraviglioso Signore, camminare ancora sulla spiaggia, oppure nei viali un po’ deserti, di questo settembre stupendo…
Ma la gioia vera, piena, autentica che mi dai qui, non avrei potuto averla mai, in nessun posto, per nessun motivo, con nessuna persona.
Sto scoprendo che la gioia esiste, ma esiste perché esisti Tu. Sembra impossibile essere cosi felici di una cosa sola: della Tua presenza.
E allora, costi quel che costi, avanti, ne vale la pena.

 

suor Diana Presepi

Articolo riservato 2

“Chi non Serve, non Serve”

«Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere» (Eb 13,3)

…Visitare i Carcerati!…

 …ero Carcerato e siete venuti a trovarmi”

 

Queste Parole di Gesù, hanno risuonato e riecheggiano ancora, tante volte, nel mio cuore,…mi hanno portato a conoscere il luogo di sofferenza e di riscatto del Carcere e a conoscere la triste realtà dei Detenuti: per incontrarli, ascoltarli, asciugare lacrime, seminare Speranza… Solo tre volte avevo avuto la necessità di entrarvi: nel vecchio carcere di Cesena, per una visita con una mia classe di quinta elementare, a Chieti e a Forlì per incontrare Julia, un ragazzo colombiano. Sono state esperienze incancellabili!

Dal 30 agosto 2015, sono nella Comunità di Roma. Fin dai primi mesi, ho avvertito più chiara la chiamata nella Chiamata: donare più attenzione ai Carcerati, ai Poveri, agli esclusi delle periferie… Ho esaminato me stessa e attorno a me, poi ho preso in considerazione come avrei potuto mettere in atto “…visitare i carcerati”, opera di Misericordia, tanto raccomandata da Papa Francesco. Visitare i carcerati, mi è sembrato come l’Opera di Misericordia più “trascurata”. Forse, con i nostri pregiudizi, creiamo forme di carcere, isoliamo per paura chi esce dal carcere, come “il lebbroso” del Vangelo, preferiamo tenerli lontano da noi, da casa nostra. I carcerati rischiano di essere “estranei” molto più degli stessi stranieri che bussano alle nostre porte: infatti in carcere siamo noi, che dobbiamo bussare alle porte delle prigioni, per incontrarli. L’autore della Lettera agli Ebrei, esortandoci per un’autentica vita cristiana, non dice solo di visitare i carcerati, ma di ricordarli nella preghiera, di ricordarli concretamente, fino a condividere con loro la situazione carceraria: “Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere”

Mi piace ricordare che i Detenuti non cessano di essere uomini come noi, non cessano di essere figli di Dio, non cessano di essere Chiesa e far parte di una Comunità Cristiana. Dimenticare allora, la loro presenza, significa mutilare il Corpo di Cristo di alcune sue membra; è vero, sono membra malate, ma come lo siamo noi: l’unica differenza è che i loro peccati (delitti) sono stati conosciuti e rivelati e sono stati puniti.

Dopo varie riflessioni personali, arricchite dai discordi e dalle richieste di Papa Francesco, in un incontro Fraterno, impegnate a formulare il Progetto Comunitario, ho condiviso alle Sorelle il mio progetto personale: “…visitare i carcerati”. In seguito, ne ho parlato anche con Madre Daniela, che mi ha incoraggiato. Mi informai su internet, passai a telefonare al Cappellano delle Carceri Rebibbia, infine usai la Posta elettronica per presentarmi e farne domanda scritta: la risposta positiva arrivò dopo circa tre mesi; mi informava che mi voleva incontrare personalmente, prima di fare richiesta scritta al Capo delle Guardie Carcerarie. Sono passati altri tre mesi di silenzio-attesa. Stavo per abbandonare l’idea, quando è arrivata la telefonata di Don Roberto per fissare l’appuntamento. L’incontro è stato rimandato tre volte, a distanza di settimane. In carcere, infatti, non si misura il tempo, ci sono sempre lunghe pause e tanto esercizio di pazienza. Nell’attesa, non ho perso tempo: mi sono iscritta ed ho frequentato il Corso per Volontari alla Caritas Diocesana di Roma, ho seguito il tirocinio di ascolto alla Caritas Welcome, infine sono rimasta volontaria per circa un anno, sempre al Centro Ascolto Welcome, nella Zona Piazza Ungheria.

Grazie a questo cammino formativo, fatto nella Caritas Diocesana, sono stata accolta Volontaria alle Carceri Rebibbia, senza altri corsi specifici per l’ascolto dei Detenuti. Ora sento che il Corso per carceri mi manca, perché l’incontro e l’ascolto dei detenuti non è come l’ascolto nella Caritas.

 

Nel settembre 2016 ho iniziato il servizio alle Carceri Rebibbia e per mancanza di tempo e di energie disponibili, ho rinunciato il servizio al centro di ascolto Caritas.

Per il Carcere Rebibbia il tempo è sempre poco, anzi direi che non basterebbe mai; Il Cappellano chiede almeno due volte la settimana con giorni fissi. Per ora ho scelto il martedì e il giovedì e una volta al mese, partecipo alla celebrazione della Messa domenicale.

Il Capo Cappellani, Don Roberto, purtroppo non sta bene, causa un tumore, gli altri quattro Cappellani corrono ed è difficile incrociarli, quindi sono lasciata sola a scegliere ciò che mi sembra buono. Da ogni incontro apprendo anche dai detenuti, verifico le nozioni, poi cerco di fare del mio meglio.

Quando incontro veri problemi o ho dei dubbi, per non procurarmi il carcere, telefono a Don Roberto,che mi indica la strada giusta da seguire.

A fine agosto 2016 arrivò la risposta e la data esatta per il primo ingresso in carcere, in compagnia di Don Roberto. L’appuntamento del ritrovo era per le 15,30, in portineria carceraria maschile. Come mio solito non mi feci attendere. Rimasi in portineria circa un’ora,che mi servì per conoscere il via vai continuo delle Guardie carcerarie. Quante domande mi facevo….le risposte mi arrivarono nella Preghiera di Vespro, che coronò l’attesa. Finalmente vidi arrivare Don Roberto tutto sorridente, mi invitò a seguirlo.

Mi indicò tutti i passaggi obbligati, da fare ogni volta , prima di varcare la porta blindata del carcere: consegnare la carta d’identità, ritirare la chiave per aprire l’armadietto, deporre la borsa e tutto ciò che non deve entrare in carcere, attraversare una porta particolare, che suona se hai ancora con te oggetti proibiti (cellulare, forbici…) ripetere il mio nome per verificarlo con il documento ed essere scritto nel registro con la data del giorno e l’ora d’ingresso, infine ricevere il distintivo del Volontario da appendermi alla giacca. Superammo un grande cancello di ferro, che si aprì davanti a noi e si chiuse automaticamente dietro di noi, così di seguito con altri due cancelli, intercalati da lunghi corridoi simili a strade a senso unico. Come ogni sabato alle 16.45 c’era la messa nei vari reparti giudiziari. Io fui mandata con Don Antonio e un sacrestano nel reparto G12. Lungo il corridoio verso la Cappella, il Sacerdote mi disse che il reparto G12 era quello dei criminali e che anche il sacrestano era un detenuto di quel reparto. Mi suggerì di non pensare mai al reato che ciascuno aveva potuto commettere, ma di guardarli con gli occhi di Gesù e di accoglierli, come fratelli da amare. Questo unico consiglio non l’ho mai dimenticato, perché mi ha fatto bene: infatti quando incontro un Detenuto non mi viene neanche in mente di pensare, né di voler sapere che cosa di male ha fatto. Non sento nessun timore che possa farmi del male , anzi sono serena e impegnata più ad accogliere, ascoltare, che a parlare. Arrivarono in Cappella molti detenuti, puntuali, silenziosi ed educati. Salutarono cortesemente il prete e me sconosciuta, come un dono, perché ero andata alla loro messa. All’inizio della liturgia Don Antonio mi presentò e lasciò la parola anche a me. Non mi fu difficile guardarli, sentirli fratelli ed esprimere loro qualche parola ispiratami. Ero unica donna fra un centinaio di uomini detenuti, che pregavano, cantavano, leggevano o ascoltavano le letture e l’omilia., come in una Parrocchia ordinata. Era la prima volta che vedevo a Messa tanti uomini insieme! Mi fece una certa emozione!

Ora, per entrare e per uscire dalle carceri, ogni volta ripeto le regole apprese dal Don R.

Nelle carceri, operano tanti volontari per l’ascolto, in giorni e ore diverse: Religiosi, Suore, un buon numero di uomini e donne, giovani e adulti…

Incontro ovunque guardie carcerarie diverse e differenti per carattere e modi di fare, che a volte mi richiede coraggio e determinazione.

Per iniziare ad incontrare un detenuto fra i 2.000 presenti in carcere, ho scelto di farmi chiamare, nel reparto G12, uno proveniente dal Carcere di Camerino. Ero a conoscenza che a causa del terremoto nelle Marche, molti detenuti di Camerino erano stati trasferiti al Rebibbia. La Guardia carceraria mi chiamò: Andrea, 21 anni, di Macerata, proveniente dal carcere di Camerino. Arrivò nella stanzetta, dove io l’aspettavo, piuttosto nervoso, timido e disperato, già aveva conosciuto la punizione dell’isolamento e aveva deciso lo sciopero della fame. Aveva vissuto tremendamente il crollo delle carceri di Camerino e non aveva avuto ancora nessuna notizia della famiglia, perché non poteva nè comunicare, nè incontrare familiari a causa della lontananza. Lo salutai delicatamente e mi presentai come Suora Marchigiana di Matelica. Si illuminò, mi guardò e mi chiese: Come hai pensato a me? Aspettavo qualcuno che mi venisse a trovare per poter parlare, chi ti ha mandato? Mi parlò a lungo del terremoto in carcere, della famiglia, del viaggio al Rebibbia, della solitudine, della sua grande sofferenza…L’ascoltai quanto e come ne aveva bisogno, mi feci vicino stringendogli le mani fredde e tremanti; gli chiesi poi il numero del cellulare della mamma, per mettermi in contatto con lei e dare notizie di Andrea ed avere notizie della Mamma da portare ad Andrea. Salutandoci mi baciò e chiese: Quando torni a trovarmi e portare le notizie di mamma? Ci scambiammo gli impegni e da quel giorno tengo ancora in contatto mamma e figlio detenuto. Con Andrea ho conosciuti i nomi di tanti altri detenuti di Camerino, con storie diverse, ma molto simili nella sofferenza e nel bisogno di essere chiamati, accolti, ascoltati e desiderosi di notizie delle famiglie. E’ poco quello che mi è permesso fare in carcere, ma ascoltare e dare Speranza, è compito proprio del Volontario e di questo ne hanno tanto bisogno. Cerco di essere quella mano tesa che porta l’Amore, la Speranza e la Misericordia di Gesù, per sollevarli dalle loro sofferenze, a volte, dalle loro disperazioni. I Fratelli carcerati incontrati , sono stati in gran parte spacciatori di droga, tossicodipendenti, alcolizzati, omosessuali, Trans, omicidi, ladruncoli, malati di ADS …molti dei quali erano poveri ed emarginati, prima ancora di essere detenuti. Sono uomini dai 20 ai 60 anni circa, italiani e stranieri, cristiani, ortodossi , musulmani ….li amo come fratelli, che hanno commesso errori, a volte grandi, a volte piccoli, normalmente lo riconoscono, si vergognano, sono pentiti e consapevoli che stanno pagando il male fatto. Mentre li ascolto, spesso anch’io mi commuovo con loro. Molti carcerati sono persone che soffrono per aver perso il bene più prezioso: la libertà. Raccontano di essere rinchiusi in celle strette, affollate, dove entra poca aria e luce, dove c’è freddo, scarsa igiene, impossibilità di comunicare con l’esterno, hanno poche occasione per un colloquio con un familiare, un amico; sono creature sole che attendono la fine della pena, a volte lontana!

Alcuni di loro sono convinti di essere innocenti, altri condannati ad una pena troppo lunga, sproporzionata rispetto al delitto commesso. Altri ancora, vivono in ansia , perché non sanno nulla della propria famiglia, dei propri cari ammalati, si preoccupano dei figli, del loro avvenire; la loro speranza di libertà si affievolisce, quando non sono aiutati.. In alcuni cresce il nervosismo, la cattiveria, il rancore, la sete di vendetta, perché non si sentono capiti, nè rispettati come persone e non possono parlare. Alcuni si sentono soli, perché non hanno famiglie e parenti vicini, si credono abbandonati e insignificanti per tutti gli altri. Spesso scrivono lettere, cosa che prima mai hanno fatto: per la fame di relazione, per il desiderio di sentire che qualcuno può rivolgersi a loro e ascoltarli. L’ascolto, infatti, è la prima forma di amore, di vicinanza, la sola che rende possibile tutte le altre; quanto hanno bisogno di essere ascoltati! Essi sanno che il volontario può fare poco o niente, ma ciò che richiedono è essere accolti e ascoltati per condividere il loro malessere, tutti i loro bisogni, che sono tanti! Ti aspettano pazienti, anche senza ricevere nulla, ma ti aspettano e si preoccupano se per un po’ di giorni non li chiami e non ti vedono. I Carcerati con le loro povertà morali, con le loro sofferenze nascoste o evidenti, mi fanno scoprire sempre più la mia debolezza, la mia impotenza davanti a situazioni umanamente impossibili da risolvere. Mi incoraggia solo la fede nella presenza di Gesù vivo, sempre vicino che mi ripete: “vai, non avere paura! Io sono sempre con te!”

Và e sii strumento del mio Amore. ”Ti basta la mia Grazia. La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Corinti 12,9)

Allora, entro in carcere, sicura di essere in Compagnia di Qualcuno, per incontrare, ascoltare, e “prendermi cura del fratello detenuto, come uno che mi appartiene”. Vado in carcere per rispondere: Eccomi!

“…ero Carcerato e siete venuti a trovarmi”

Entro in carcere per servire e amare la Chiesa e i fratelli reclusi, come Gesù. Entro in carcere consapevole che “Chi non Serve, non serve!”

suor Loretana

 

Tu mi scruti e mi conosci…. e mi permetti di conoscerti..un po’ di più!

   Tu mi scruti e mi conosci…. e mi permetti di conoscerti..un po’ di  più!

 

Da martedì 30 a domenica 4 febbraio al seminario di Faenza ho partecipato alla settimana comunitaria per ragazze dal titolo “Tu mi scruti e mi conosci”.

Quando ho deciso di iscrivermi non ci ho pensato molto, non ho neanche guardato particolarmente l’agenda  per vedere se si incastrava con gli altri impegni, ma ascoltando quella vocina che mi diceva: “Marghi approfittane, prenditi un momento di calma dal solito tram tram!”, l’ho fatto.

Infatti era già da un po’ di tempo che mi ero accorta che correndo da una parte all’altra, le mie giornate non le vivevo più, ma le passavo rincorrendo ogni minuto: tutto lo stavo facevo per routine perdendo di vista i motivi per cui assolvevo ai miei impegni quotidiani. Inoltre non mi ritagliavo da tempo momenti di riflessione con me stessa e con Dio.

Così ho deciso di partecipare a quella esperienza per ricominciare a vivere con gusto diverso le mie giornate.

Effettivamente mi ero creata molte aspettative rispetto a questa settimana, che alla fine non mi ha deluso: infatti è stata una boccata d’aria che ha ridimensionato la mia quotidianità, mi ha permesso di pensare  e condividere con altre ragazze il risultato delle mie riflessioni, mi ha dato la possibilità di stare in ascolto ed entrare in rapporto con Dio tramite l’adorazione.

È diventata un pit stop rigenerante grazie alle altre ragazze che avevano la mia stessa voglia di vivere a pieno la proposta; grazie ai momenti di comunione durante gli incontri, i pasti e le serate; grazie ai tempi di riflessione personale; ma più che altro grazie alla conoscenza della figura di Maria. Infatti l’esperienza era dedicata a questa donna che molto spesso si dà per scontata ma che invece ha sempre qualcosa di nuovo da darci e insegnarci.

Ad esempio non mi ero mai accorta del fatto che Maria in tutto il Vangelo si esprime a parole solo quattro volte. Questa è la dimostrazione che Maria è un personaggio da scoprire e che nel frattempo aiuta a scoprirsi.

Per poterla conoscere, ogni giorno leggevamo un testo del Vangelo su di lei ed eravamo invitate a lasciarci interpellare da quelle parole trovando durante la giornata momenti di riflessione personale per pensare al tema, partendo anche dalla lettura di commenti di altri testimoni come don Tonino Bello e suor Diana Presepi.  Inoltre ci facevamo aiutare anche dalla riflessione giornaliera di suor Nadia sul testo del Vangelo, che ci permetteva di cogliere alcuni aspetti che con una lettura frettolosa è facile trascurare. Dopodiché nel pomeriggio ci dividevamo in due gruppi per poter condividere le riflessioni della giornata, e per me questo era il momento più bello perché avevamo la possibilità di confrontarci e scambiarci pensieri e parole.

Da queste attività ho imparato veramente tante cose, fra cui rivalutare il silenzio come occasione per ascoltarsi e ascoltare la Sua presenza;  ho imparato ad apprezzare il bello in ogni giornata, cercando di cancellare dal mio vocabolario la parola “banale”. Inoltre ho capito che, come fa Maria per raggiungere Elisabetta, bisogna andare “di fretta” verso gli altri per anticiparli negli incontri di pace e perdono.

Ero partita un po’ titubante non sapendo quali fossero le partecipanti e come fosse organizzata l’esperienza, ma ancora adesso a distanza di alcune settimane, sono contentissima di aver partecipato perché mi ha dato la possibilità di conoscere altre dodici ragazze in gamba con cui confrontarmi e di portare a casa diversi spunti su cui continuare a riflettere e a lavorare per renderli sempre più parte della mia vita.

Margherita Cappell